giovedì 7 aprile 2016

Crisi del PS, complessità sistemica e luoghi comuni

Di fronte a problemi annosi, complessi e maledettamente intricati, come sono quelli sociali ed organizzativi, forte è la tentazione di proporre soluzioni semplici e lineari e di indicare preliminare in un “colpevole” la causa prima della disfunzione e del malcontento. Questa sorta di riflesso condizionato scatta di fronte ad uno dei nodi più problematici dell'organizzazione sanitaria, vale a dire la crisi del Pronto Soccorso ospedaliero, dovuta un eccesso di codici bianco/verdi, specie per l'impatto dell'epidemia influenzale che mette a dura prova tutto il SSN. Inutile aggiungere che per qualcuno l'imputato principale del cronico sovraffollamento del PS è il medico del territorio che, non facendo da filtro alla domanda di alcuni assistiti, ne favorirebbe l'afflusso inappropriato alle strutture di emergenza/urgenza in modo, generando il surplus di codici bianco/verdi (http://www.lastampa.it/2015/01/15/cronaca/la-rivolta-dei-pronto-soccorso-se-siamo-intasati-colpa-dei-medici-di-base-cjnLWxeC2hvhNbDMD2cbLM/pagina.html).

Di tutt'altro avviso è la principale società scientifica del settore (SIMEU) che propone un'analisi della crisi pandemica del PS, nel senso che interessa tutti i paesi occidentali: la causa principale del sovraffollamento dei PS è il blocco dell’uscita, cioè l’impossibilità di ricoverare i pazienti nei reparti di degenza per indisponibilità di posti letto, dopo il primo inquadramento diagnostico in PS; si tratta pertanto di un problema sistemico che si manifesta ed emerge in modo eclatante nei dipartimenti di emergenza, ma ha cause e un genesi esterne; anche gli accessi inappropriati contribuiscono all’affollamento dei PS, ma solo in piccola parte (meno del 10%: http://www.simeu.it/blog/?tag=sovraffollamento).

L'analisi del SIMEU è condivisibile ma indica solo una delle concause, un tassello del puzzle, un segmento della catena causale lasciando in ombra le premesse, a monte, e le conseguenze a valle dell'impossibilità di ricorre alla corsia dopo un accesso in PS. La necessità di eseguire in tempo reale esami e visite, che sul territorio richiederebbero giorni se non settimane, per risolvere il problema diagnostico in loco ed evitare il ricovero, attira in PS schiere di assistiti che non sono in condizioni di urgenza o rischio, vale a dire i famosi codici bianco/verdi. Si tratta di un fenomeno descritto dall'economia sanitaria, ovvero dell'offerta che induce la propria domanda in modo autoreferenziale e soprattutto inintenzionale; così il surplus di accessi è l'effetto collaterale/paradossale della ristrutturazione organizzativa dell'ospedale, ovvero il contingentamento o razionamento dei posti letto.
Curiosamente quindi la riduzione di un'offerta (la degenza) espande in modo inversamente proporzionale l'offerta di prestazioni tecno-specialistiche (l'attività del PS) che attrae la domanda di prestazioni tecnologiche inevasa dal territorio in cerca di una risposta quantitativa adeguata, per via delle liste d'attesa, delle incombenze burocratiche, della compartecipazione alla spesa etc.. Un circuito "perverso" che si auto-alimenta e si auto-rinforza, difficile da spezzare o perlomeno contenere, specie se si propone come soluzione un ulteriore potenziamento dei servizi di emergenza stessi, destinato ad aumentare l'offerta di prestazioni e di calamitare quindi altra domanda. In PS si concentrano nel tempo e nello spazio prestazioni tecno-specialistiche che sia in regime di ricovero sia nelle strutture ambulatoriali del territorio sarebbero dilazionate nel tempo. Da questa concentrazione deriva l'attrattività del PS sul territorio. Ma per qualcuno è più semplice e comodo "dare la colpa" la MMG in modo lineare, come se egli potesse prevedere e controllare l'autonoma decisione di alcuni assistiti di recarsi in PS, invece che analizzare le complesse interazioni sistemiche tra domanda e offerta.
Oltre ai processi organizzativi sistemici, bisogna considerare l'influenza della cultura diffusa sulla salute e sulla malattia, che va dalla promozione di sani stili di vita fino all'ossessione salutista/preventiva indotte dai media, dalle campagne informative, dal disease mongering etc.. tanto da configurare una sorta di ipocondria sociale. Il quotidiano martellamento informativo, oltre che ansiogeno per sua natura, ha contribuito ad abbassare la tolleranza per il dolore e per il disagio fisico in generale e il conseguente bisogno sanitario, inducendo ad interpretare sintomi lievi, transitori o stati parafisiologici come segnali di temibili malattie, bisognose di un consulto medico e di approfondimenti clinici immediati.
Si tratta di un cambiamento culturale ed antropologico che si manifesta con un ribaltamento della valutazione soggettiva dei segnali corporei e dei disturbi fisici, descritta dagli storici della medicina: se un tempo si presentavano in studio assistiti con chiari sintomi di una patologia conclamata, oggi invece sono preponderanti i sintomi aspecifici e sfumati che caratterizzano spesso le fasi di esordio di una malattia. Da qui la decisione di alcuni assisti di rivolgersi al PS, saltando la mediazione delle cure primarie, per ottenere subito le prestazioni medico-sanitarie e specialistiche atte a fugare dubbi, incertezze e ansie, e per by-passare nel contempo fastidiose procedure burocratiche ed amministrative, spesso farraginose, complicate e dispendiose in termini economici e di tempo.
Il medico di fronte a tali sintomi sfumati, sovente inconsueti ed enigmatici, non può far altro che ricorrere ad accertamenti diagnostici, se non altro per escludere una condizione patologica sottostante e ridurre l'incertezza diagnostica. Gli assistiti hanno capito che l'incertezza può essere ridotta solo con l'acquisizione di ulteriori informazioni, più precise e dirimenti rispetto alla visita canonica, e quindi per tagliar la testa al toro si rivolgono direttamente al PS dove trovano un'offerta di tecnologia specialistica prontamente disponibile. D'altra parte i medici del PS sono stretti tra l'adesione ai protocolli operativi e la varietà/unicità delle situazioni, che non sempre rientrano nelle routine decisionali e nelle procedure codificate dalle linee guida e, di fronte all'incertezza diagnostica, hanno buon gioco a prescrivere ulteriori accertamenti diagnostici anche perchè sono, per l'appunto, accessibili e prevengono nel contempo il rischio medico-legale. Ecco quindi che il cerchio si chiude con un codice bianco/verde, che suggella l'interazione tra la dimensione cultural-antropologica e quella sistemico-organizzativa. 

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