Di
fronte a problemi annosi, complessi e maledettamente intricati, come
sono quelli sociali ed organizzativi, forte è la tentazione di
proporre soluzioni semplici e lineari e di indicare preliminare in un
“colpevole” la causa prima della disfunzione e del malcontento.
Questa sorta di riflesso condizionato scatta di fronte ad uno dei
nodi più problematici dell'organizzazione sanitaria, vale a dire la
crisi del Pronto Soccorso ospedaliero, dovuta un eccesso di codici
bianco/verdi, specie per l'impatto dell'epidemia influenzale che
mette a dura prova tutto il SSN. Inutile aggiungere che per qualcuno
l'imputato principale del cronico sovraffollamento del PS è il
medico del territorio che, non facendo da filtro alla domanda di
alcuni assistiti, ne favorirebbe l'afflusso inappropriato alle
strutture di emergenza/urgenza in modo, generando il surplus di
codici bianco/verdi
(http://www.lastampa.it/2015/01/15/cronaca/la-rivolta-dei-pronto-soccorso-se-siamo-intasati-colpa-dei-medici-di-base-cjnLWxeC2hvhNbDMD2cbLM/pagina.html).
Di
tutt'altro avviso è la principale società scientifica del settore
(SIMEU) che propone un'analisi della crisi pandemica del PS, nel
senso che interessa tutti i paesi occidentali: la causa principale
del sovraffollamento dei PS è il blocco dell’uscita, cioè
l’impossibilità di ricoverare i pazienti nei reparti di degenza
per indisponibilità di posti letto, dopo il primo inquadramento
diagnostico in PS; si tratta pertanto di un problema sistemico che si
manifesta ed emerge in modo eclatante nei dipartimenti di emergenza,
ma ha cause e un genesi esterne; anche gli accessi inappropriati
contribuiscono all’affollamento dei PS, ma solo in piccola parte (meno del 10%: http://www.simeu.it/blog/?tag=sovraffollamento).
L'analisi
del SIMEU è condivisibile ma indica solo una delle concause, un
tassello del puzzle, un segmento della catena causale lasciando in
ombra le premesse, a monte, e le conseguenze a valle
dell'impossibilità di ricorre alla corsia dopo un accesso in PS. La
necessità di eseguire in tempo reale esami e visite, che sul
territorio richiederebbero giorni se non settimane, per risolvere il
problema diagnostico in loco ed evitare il ricovero, attira in PS
schiere di assistiti che non sono in condizioni di urgenza o rischio,
vale a dire i famosi codici bianco/verdi. Si tratta di un fenomeno
descritto dall'economia sanitaria, ovvero dell'offerta che induce la
propria domanda in modo autoreferenziale e soprattutto
inintenzionale; così il surplus di accessi è l'effetto
collaterale/paradossale della ristrutturazione organizzativa
dell'ospedale, ovvero il contingentamento o razionamento dei posti
letto.
Curiosamente
quindi la riduzione di un'offerta (la degenza) espande in modo
inversamente proporzionale l'offerta di prestazioni
tecno-specialistiche (l'attività del PS) che attrae la domanda di
prestazioni tecnologiche inevasa dal territorio in cerca di una
risposta quantitativa adeguata, per via delle liste d'attesa, delle
incombenze burocratiche, della compartecipazione alla spesa etc.. Un
circuito "perverso" che si auto-alimenta e si
auto-rinforza, difficile da spezzare o perlomeno contenere, specie se
si propone come soluzione un ulteriore potenziamento dei servizi di
emergenza stessi, destinato ad aumentare l'offerta di prestazioni e
di calamitare quindi altra domanda. In PS si concentrano nel tempo e
nello spazio prestazioni tecno-specialistiche che sia in regime di
ricovero sia nelle strutture ambulatoriali del territorio sarebbero
dilazionate nel tempo. Da questa concentrazione deriva l'attrattività
del PS sul territorio. Ma per qualcuno è più semplice e comodo
"dare la colpa" la MMG in modo lineare, come se egli potesse prevedere e controllare l'autonoma decisione di alcuni assistiti di recarsi in PS, invece che
analizzare le complesse interazioni sistemiche tra domanda e offerta.
Oltre
ai processi organizzativi sistemici, bisogna considerare l'influenza
della cultura diffusa sulla salute e sulla malattia, che va dalla
promozione di sani stili di vita fino all'ossessione
salutista/preventiva indotte dai media, dalle campagne informative,
dal disease mongering etc.. tanto da configurare una sorta di
ipocondria sociale. Il quotidiano martellamento informativo, oltre
che ansiogeno per sua natura, ha contribuito ad abbassare la
tolleranza per il dolore e per il disagio fisico in generale e il
conseguente bisogno sanitario, inducendo ad interpretare sintomi
lievi, transitori o stati parafisiologici come segnali di temibili
malattie, bisognose di un consulto medico e di approfondimenti
clinici immediati.
Si
tratta di un cambiamento culturale ed antropologico che si manifesta
con un ribaltamento della valutazione soggettiva dei segnali corporei
e dei disturbi fisici, descritta dagli storici della medicina: se un
tempo si presentavano in studio assistiti con chiari sintomi di una
patologia conclamata, oggi invece sono preponderanti i sintomi
aspecifici e sfumati che caratterizzano spesso le fasi di esordio di
una malattia. Da qui la decisione di alcuni assisti di rivolgersi al
PS, saltando la mediazione delle cure primarie, per ottenere subito
le prestazioni medico-sanitarie e specialistiche atte a fugare dubbi,
incertezze e ansie, e per by-passare nel contempo fastidiose
procedure burocratiche ed amministrative, spesso farraginose,
complicate e dispendiose in termini economici e di tempo.
Il
medico di fronte a tali sintomi sfumati, sovente inconsueti ed
enigmatici, non può far altro che ricorrere ad accertamenti
diagnostici, se non altro per escludere una condizione patologica
sottostante e ridurre l'incertezza diagnostica. Gli assistiti hanno
capito che l'incertezza può essere ridotta solo con l'acquisizione
di ulteriori informazioni, più precise e dirimenti rispetto alla
visita canonica, e quindi per tagliar la testa al toro si rivolgono
direttamente al PS dove trovano un'offerta di tecnologia
specialistica prontamente disponibile. D'altra parte i medici del PS
sono stretti tra l'adesione ai protocolli operativi e la
varietà/unicità delle situazioni, che non sempre rientrano nelle
routine decisionali e nelle procedure codificate dalle linee guida e,
di fronte all'incertezza diagnostica, hanno buon gioco a prescrivere
ulteriori accertamenti diagnostici anche perchè sono, per l'appunto,
accessibili e prevengono nel contempo il rischio medico-legale. Ecco
quindi che il cerchio si chiude con un codice bianco/verde, che
suggella l'interazione tra la dimensione cultural-antropologica e
quella sistemico-organizzativa.
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