Le
reazioni a caldo di fronte a vicende drammatiche, come quella della bimba
bresciana, rischiano quasi inevitabilmente di dividere la pubblica opinione in
fazioni contrapposte di colpevolisti ed innocentisti. A causa di un una sorta di duplice
riflesso condizionato, innescato da speculari reazioni emotive, si
contrappongono due "fazioni": da un lato prevale l’invettiva e la
colpevolizzazione a priori per trovare un facile capro espiatorio a cui corrisponde,
dall’altro, un arroccamento difensivo che sfuma in una speculare e aprioristica
negazione.
Si
tratta di valutazioni e giudizi dettati dall'emotività, umanamente comprensibili,
ma che finiscono per inibire in modo convergente un’analisi spassionata ed
oggettiva degli eventi, come vorrebbe un “normale” approccio scientifico. Risultato
finale: l’aura giudiziaria finisce per soffocare la razionalità! E’ possibile
sfuggire a questa sorta di copione collettivo già scritto? Purtroppo sembrerebbe un compito impossibile!
Per
riportare il confronto su un piano meno pregiudizialmente schierato pro o
contro bisognerebbe porsi alcune scomode domande, al fine di appurare se vi è stato effettivamente un errore diagnostico: la vicenda doveva necessariamente andare
in quel modo? Era, in altri termini, inevitabile quell'esito tragico? oppure
gli eventi potevano prendere una diversa piega? si poteva fare qualche cosa per
evitare il peggio? Per quale ragione, ad esempio, a distanza di poche ore operatori
sanitari si sono comportati in modo difforme?
L’esperienza
pratica e i dati degli accessi in PS dicono che simili "mancati
riconoscimenti" non sono infrequenti quando si ha a che fare disturbi atipici,
inusuali, sfumati, esordio di patologie rare o con presentazioni anomale etc..; per
fortuna però il più delle volte si corregge il tiro per tempo e si rimedia subito alla
"svista". Il guaio è che, tuttavia, proprio perchè le cose alla fine sono
andate per il verso giusto si tende a non riflettere sui casi “strani”, a
sorvolare sui quasi-errori quotidiani perchè la spada di Damocle della denuncia
e lo spettro del tribunale, anche se restano sullo sfondo, inibiscono l'approccio
oggettivo e non emotivo all'errore cognitivo e diagnostico.
Come ha osservato il filosofo Karl
Popper “dobbiamo mutare la nostra posizione nei
confronti degli errori. Da qui deve iniziare la nostra riforma pratica ed etica.
Perchè la vecchia posizione dell'etica professionale conduce a passare sotto
silenzio i nostri errori, a nasconderli e a dimenticarli il più velocemente
possibile [mentre] per apprendere ad evitare gli
errori il più possibile dobbiamo imparare proprio dai nostri errori. Dissimulare gli sbagli
è perciò il più grave peccato intellettuale”.
Il fatto è che il procedimento
diagnostico non sempre colpisce nel segno di primo acchito e in modo
automatico, mentre non di rado procede per tentativi ed errori, che restano
però subliminali, sotto traccia ma per fortuna senza conseguenze pratiche negative; alla
guida quando ci si trova in una città sconosciuta la condizione per trovare la
strada giusta è di accorgersi per tempo di averne imboccata una sbagliata.
Quando per una serie fortuita di eventi si verifica un tragico “incidente” è
come se il quasi-errore d’ogni giorno venisse posto impietosamente sotto una
lente d’ingrandimento pubblica ed amplificato a dismisura dalle reazioni della
gente.
E’
un’impresa smuovere il macigno emotivo che cala su chi affronta questi temi, provocando
una reazione difensiva e di chiusura. Tuttavia proprio in queste difficili circostanze
non si deve rinunciare a riflettere razionalmente, lasciando spazio al solo approccio
accusatorio e giudiziario. Sarebbe una tragica resa prima di tutto etica, come ammoniva Karl Popper,
perchè si tratta di un obbligo deontologico imparare, se ve ne sono stati,
dagli errori per evitarne altri in futuro. Può l’ordine professionale
contribuire ad invertire questa deleteria china?
P.S. Art. 14 del Codice di deontologia Medica del 2017. Prevenzione e gestione di eventi avversi e sicurezza delle cure. Il medico opera al fine di garantire le più idonee condizioni di sicurezza del paziente e degli operatori coinvolti, promuovendo a tale scopo l’adeguamento dell’organizzazione delle attività e dei comportamenti professionali e contribuendo alla prevenzione e alla gestione del rischio clinico attraverso:
- l’adesione alle buone pratiche cliniche;
- l’attenzione al processo di informazione e di raccolta del consenso, nonché alla comunicazione di un evento indesiderato e delle sue cause;
- lo sviluppo continuo di attività formative e valutative sulle procedure di sicurezza delle cure;
- la rilevazione, la segnalazione e la valutazione di eventi sentinella, errori, “quasi-errori” ed eventi avversi valutando le cause e garantendo la natura riservata e confidenziale delle informazioni raccolte
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