Nella
malattia acuta è relativamente possibile isolare il problema
"biologico" dalle altre dimensioni dell'esistenza, ad esempio con una
"soluzione chirurgica", radicale e definitiva. Grazie alla
separazione del paziente dal contesto di vita e alle risorse tecnologiche
l’ospedale adempie la funzione di presa in carico dell’acuzie e porta a termine
efficacemente la sua mission in virtù della concentrazione spazio-temporale
delle competenze professionali, della differenziazione tecno-specialistica e
dell’organizzazione gerarchica.
Non è così
per la cronicità. La disgiunzione dall'ambiente e la delimitazione specialistica non sono la regola: le patologie si sovrappongono e si influenzano
reciprocamente, violando i confini disciplinari e la distinzione delle competenze, e sono a loro
volta influenzate dalle condizioni socioeconomiche, ambientali e familiari, dagli stili di
vita e dalle relazioni con i servizi sanitari e socio-assistenziali, specie in
caso di invalidità, handicapp, fragilità e disabilità. Proprio per questa differenza
qualitativa la gestione della cronicità esige una "Rivoluzione Culturale" che
coinvolge in prima persona tutti gli attori, assistiti, familiari, professionisti ed organizzazione sanitaria.
L’alterità del profilo
“fenomenologico” della cronicità, rispetto all’acuzie, reclama un cambio di
paradigma à la Morin, nel senso della complessità contrapposta al paradigma di
semplificazione. In modo assai schematico la sfida della cronicità
ai sistemi sanitari attiene all’evoluzione da un approccio lineare, deterministico
e riduzionistico - tipico dell’intervento tecnologico in acuto, sul modello fordista - ad una
complessità sistemica e multidimensionale, caratteristica delle cure primarie.
Tale sfida implica l’interazione tra
sfera clinica, socio-assistenziale, educativa etc.. che si realizza nella dimensione orizzontale, aperta e non gerarchica dell'organizzazione a rete, dove i nodi sono i MMG sul territorio - ma anche le abitazioni dei
pazienti cronici in ADP/ADI e le strutture distrettuali - e i fili che li connettono le relazioni
tra i diversi attori che si alternano alla cura nel lungo decorso delle
patologie.
Come afferma il Piano Nazionale per la Cronicità “l’assistenza primaria rappresenta il punto
centrale (hub) dei processi assistenziali con forti collegamenti con il
resto del sistema, con un ruolo cardine svolto dal distretto” che “rappresenta l’ambito ove si valuta il fabbisogno e la
domanda di salute della popolazione di riferimento rilevata dai professionisti,
e riveste un ruolo di tutela e programmazione”. In questo disegno a
rete è cruciale il ruolo dei distretti, elettive “sedi fisiche di prossimità
sul territorio per l’accesso e l’erogazione dei servizi sanitari, socio-sanitari e socio-assistenziali rivolti
alla popolazione di pazienti cronici”. Va da sé che l’ospedale per acuti
resta il logico riferimento ogni volta che la condizione cronica va incontro ad
una riacutizzazione, ad uno scompenso multiorgano, ad una complicazione, ad un
peggioramento funzionale etc. non più gestibili con le risorse disponibili sul territorio.
Il processo di elaborazione della
riforma lombarda sulla PiC ed ora la sua attuazione pratica sconta
un’impostazione top down, che ha ignorato esperienze di approccio alla
cronicità “dal basso”, a Km zero, in modo reticolare ed orizzontale. Il compito
elettivo del MMG in questo approccio alla cronicità è quello di armonizzare ed
integrare il contributo degli altri professionisti sanitari, garantendo quella
indispensabile continuità e coerenza dell’assistenza sul lungo periodo. La PiC
ha invece privilegiato la soluzione accentratrice e ospedalo-centripeta,
perlomeno per i pazienti che sceglieranno di affidarsi ad un Gestore diverso
dalla cooperativa di MMG. Tale impostazione ha indotto i primari ospedalieri a
scendere in campo, sottolineando le difficoltà incontrate nella sua
implementazione pratica.
Emblematiche di queste criticità sono
la redazione del “fantasmagorico” PAI - compito elettivo di un CM con competenze “tuttologiche” - e i problemi organizzativi e
gestionali dovuti alla mancanza di adeguate strutture poliambulatoriali sul territorio. Analizziamo prioritariamente questi ultimi. La teorica affluenza di
un numero considerevole di malati cronici in poche strutture ospedaliere,
perlomeno laddove l’adesione dei MMG alla PiC è stata minoritaria come nella
città di Milano, comporta un sovraccarico di lavoro che grava sulle già scarse
risorse umane e si acuisce per le farraginose incombenze informatiche della
PiC, con inevitabile allungamento dei tempi per espletare le procedure previste
(Patto di cura, PAI, consensi vari etc..).
Il cahier de doleances dell'ANPO arriva all'indomani del 15 aprile, data in cui gli ospedali milanesi avevano preso in carico meno dell'1% dei 431000 potenziali malati cronici, a fronte di un 70% di assistiti potenzialmente afferenti ai Gestori ospedalieri. Se invece gli aderenti alla PiC fossero stati distribuiti nei PREST e nei POT - previsti dalla riforma ma rimasti sulla carta - e nel reticolo di prossimità delle cure primarie - ovvero tra i vari nodi della rete territoriale - il loro impatto sarebbe stato ben diverso e la gestione della PiC più agevole.
Il cahier de doleances dell'ANPO arriva all'indomani del 15 aprile, data in cui gli ospedali milanesi avevano preso in carico meno dell'1% dei 431000 potenziali malati cronici, a fronte di un 70% di assistiti potenzialmente afferenti ai Gestori ospedalieri. Se invece gli aderenti alla PiC fossero stati distribuiti nei PREST e nei POT - previsti dalla riforma ma rimasti sulla carta - e nel reticolo di prossimità delle cure primarie - ovvero tra i vari nodi della rete territoriale - il loro impatto sarebbe stato ben diverso e la gestione della PiC più agevole.
La redazione del PAI ha contribuito a
complicare l’implementazione ospedaliera della PiC, nel senso che il CM a cui è stato affidato sconta un ruolo vago e privo di una chiara “definizione di
procedure ufficiali” a garanzia di tale figura professionale, mentre
“la sua job description non è normata e lasciata al libero arbitrio dei
gestori”. Ma soprattutto il PAI del cronico polipatologico comporta un'elevata incertezza cognitiva in quanto impone il superamento dei confini disciplinari che sono la regola non scritta dell’organizzazione super-specialistica; con la sola eccezione
della medicina interna, peraltro minoritaria e quasi “residuale” sia per posti letto che personale medico ed infermieristico, per giunta impegnato a fronteggiare proprio i degenti multipatologici a ranghi ridotti, oberati da turni e obblighi di performance regionali
(limitazione della durata delle degenze).
Da qui il paradosso sottolineato dal documento, ovvero di ospedali sempre più dedicati all'acuzie, con ricoveri di pazienti gravi e/o con necessità di assistenza tecnologica intensiva, che devono farsi carico di problematiche e funzioni tipiche delle strutture distrettuali e delle Cure Primarie, che “poco han da spartire con la mission ospedaliera”, per giunta senza risorse aggiuntive di tempo e di personale dedicato e formato. In buona sostanza l'ANPO ricusa attività "originariamente destinate ad altra categoria professionale" - i medici di MG - in contrasto con il proprio mandato di specificità clinica, vale a dire le competenze "tuttologiche" di un indistinto CM.
Da qui il paradosso sottolineato dal documento, ovvero di ospedali sempre più dedicati all'acuzie, con ricoveri di pazienti gravi e/o con necessità di assistenza tecnologica intensiva, che devono farsi carico di problematiche e funzioni tipiche delle strutture distrettuali e delle Cure Primarie, che “poco han da spartire con la mission ospedaliera”, per giunta senza risorse aggiuntive di tempo e di personale dedicato e formato. In buona sostanza l'ANPO ricusa attività "originariamente destinate ad altra categoria professionale" - i medici di MG - in contrasto con il proprio mandato di specificità clinica, vale a dire le competenze "tuttologiche" di un indistinto CM.
Anche in questo caso la rete territoriale
della MG poteva farsi carico in modo meno problematico della redazione del PAI,
rispetto ad un CM che si trova di fonte per la prima volta
pazienti multipatologici, complessi, spesso seguiti da diverse strutture
specialistiche; per la redazione del Piano Individuale, non conoscendo il paziente, egli dovrà consultare altri specialisti, con ulteriore frammentazione dei processi
assistenziali. Un esito che si annuncia controintuitivo rispetto agli obiettivi
di una migliore continuità ed integrazione assistenziale, che era la
mission/vocazione della PiC.
Le competenze "tuttologiche" rivendicate a buon diritto dalla Medicina Generale non sono quelle caricaturali tratteggiate nel documento dei Primari ospedalieri ma quelle che consentono di farsi carico di TUTTA la persona affetta da patologie croniche, a prescindere dalle codifiche specialistiche, ed accettando l'incertezza insita nella complessità.
Le competenze "tuttologiche" rivendicate a buon diritto dalla Medicina Generale non sono quelle caricaturali tratteggiate nel documento dei Primari ospedalieri ma quelle che consentono di farsi carico di TUTTA la persona affetta da patologie croniche, a prescindere dalle codifiche specialistiche, ed accettando l'incertezza insita nella complessità.
P.S. La malattia acuta si
presenta tipicamente con
- sintomi evidenti e improvvisi, segno di una crisi e di grande pericolo, anche per la vita che richiedono una diagnosi rapida e certa
- richiede l’individuazione della causa, per iniziare il trattamento razionale
- tale approccio è il modello di riferimento della formazione universitaria
- che influenza l’identità professionale, allineando l’esperienza individuale del paziente alle modalità di intervento medico-sanitario
- è asintomatica al di fuori delle crisi, delle riacutizzazioni o delle fasi di scompenso d’organo
- manca una causa specifica e di un nesso tra sensazioni corporee e variabili biologiche
- spesso è impossibile guarire e può avere un’evoluzione incerta e variabile
- può dipendere da fattori di rischio ed essere influenzata da abitudini voluttuarie, variabili ambientali e stili di vita
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