La proposta di passaggio alla dipendenza è stata criticata duramente dal presidente dell’ENPAM per i suoi pesanti risvolti a livello previdenziale e pensionistico. La richiesta, avanzata da alcuni settori giovanili della MG, ha come obiettivo primario quello di sottrarre il MMG alle pretese di pazienti esigenti e ingovernabili e al potenziale "ricatto" della revoca. Un cambiamento così radicale, con la rottura di un equilibrio relazionale che bene o male ha retto per mezzo secolo, potrebbe davvero risollevare le sorti della MG, rispetto ad un declino di autorevolezza giudicato da molti irreversibile?
Il
MMG è da sempre nella scomoda posizione del servo di due padroni, da un lato il
paziente e dall’altro il SSN terzo pagante. Il passaggio alla dipendenza potrebbe liberarlo
dal vincolo che lo lega al paziente/padrone, diventato sempre più pretenzioso, per finire tra le braccia rassicuranti di uno stato padre (padrone?). Il
quale sarebbe anche disponibile ad accogliere il MMG figliol prodigo ma probabilmente
ad un prezzo elevato, viste le non indifferenti risorse che comporterebbe l’assunzione
di 60 mila nuovi dipendenti; vale a dire la rinuncia dei futuri MMG subordinati
alla residua autonomia professionale per diventare bravi dipendenti, alla
stregua di docili impiegati esecutivi. Insomma si rischia di buttare il bambino
assieme con l'H20 sporca o di passare dalla padella alla brace.
In
questo dibattito nessuno ha mai pensato di interpellare i diretti interessati?
La dipendenza rientra anche tra i desiderata dei pazienti? Se c’è una
situazione che la gente detesta è l’anonimato professionale e il continuo ricambio
degli interlocutori clinici, tanto quanto apprezza invece la continuità
relazione con un medico di fiducia, che faccia da “tutor” della propria vicenda
sanitaria. Basta verificare, ad esempio, il livello di gradimento manifestato
dai cronici lombardi nei confronti del Clinical Manager ospedaliero, che doveva
farsene in carico. Il flop è stato significativo e sintomatico.
La
dipendenza, con la sua rigidità fatta di protocolli, ordini di servizio,
percorsi predefiniti e relazioni gerarchiche con capi, capetti, dirigenti e superiori poco si
adatta al contesto “turbolento”, negoziale, educativo e multidimensionale della rete
territoriale. Un esempio per tutti può rendere l’idea: ¼ circa della casistica
clinica sul territorio comprende pazienti con MUS, ovvero Medically Unexplaned
Symptoms. Si tratta di una quota rilevante di soggetti che, nonostante ripetuti
accertamenti e visite specialistiche, non riesce a superate la soglia o criteri
diagnostici minimi, per cui resta in un limbo indefinito dal punto di vista terapeutico
e gestionale, la proverbiale zona grigia dove prevale l’incertezza.
Non è detto però che per contenere
l’effetto perturbante della revoca/ricatto sia necessaria la dipendenza; basterebbe introdurre alcuni
correttivi, peraltro già operanti in alcune regioni, per contenere le attuali distorsioni da eccesso di concorrenza al ribasso, senza la necessità della subordinazione; se nell’ultimo
decennio gli ACN fossero stati regolarmente rinnovati, con un disegno
strategico di medio periodo, e non abbandonati all’incuria degli anni, si
potevano apportare pochi cambiamenti miranti a modificare alcuni equilibri e prevenire effetti distorsivi:
- ridurre la forbice tra massimale e ottimale e aumentare incentivi per forme associative diversificate e collaboratori
- introdurre un rimborso forfettario per coprire le spese fisse di inizio attività, commisurato al numero di studi attivi o ai collaboratori
- graduare la quota capitaria, suddividendola in tre fasce rispetto alle attuali 2, in modo da ridurre il peso economico delle scelte eccedenti i 1000 assistiti a meno del 20%
- incrementare gli incentivi correlati al carico assistenziale e alla qualità del lavoro/esiti: pazienti polipatologici invalidi civili, over 75, assistenza domiciliare a fragili/disabili, indennità di presa in carico e governo clinico etc..
Non si
tratta di misure “rivoluzionarie”, come un palingenetico passaggio alla
dipendenza che comporterebbe però un cambiamento radicale al prezzo di rischiosi
contraccolpi come quelli ipotizzati a livello previdenziale dal presidente dell’ENPAM.
Cambiamenti parcellari e incrementali come quelli sopra ipotizzati potrebbero
contenere comportamenti opportunistici degli “esigenti” e collusivi di alcuni
medici, come quelli che affliggono la quota capitaria, pur senza annullare la libertà
di scelta della gente e i margini di autonomia del MMG.
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