L’aggressiva e volgare esternazione dell’operatore dell’emergenza territoriale contro i medici del territorio è solo l’ultimo e più squalificante episodio di messa in stato d’accusa della categoria per un problema di grande complessità, che si presta a generalizzazioni induttive aneddotiche e bias cognitivi di vario genere.
La crisi del PS ha radici lontane, concause profonde e riguarda tutta l’Unione Europea. Sul PS, in quanto interfaccia tra ospedale e territorio, convergono contraddizioni e effetti sistemici di cui fanno le spese gli utenti e gli operatori, in termini di disagi, stress, sovraccarico di lavoro e concreto rischio di aggressioni e contenziosi medico-legali. In pratica medici ed infermieri devono fronteggiare quotidianamente una cronica emergenza nell’ambito dell'emergenza sanitaria, dovuta alla posizione di confine del PS: da un lato è organicamente inserito nell’organizzazione ospedaliera e dall’altro deve fronteggiare un ambiente sociale turbolento e ingovernabile, connettendosi con la rete sociosanitaria territoriale. I problemi del PS sono l’esito dell’interazione di tre processi:
·
la chiusura dei
piccoli ospedali, di postazioni di PS e la riduzione dei posti letto, che per
l’effetto “vasi comunicanti” produce un sovraccarico per le strutture in
attività, peraltro afflitte da carenze di organico per il blocco del turn-over
degli operatori sanitari;
· l’aumento dei tempi d’attesa per
prestazioni diagnostiche e specialistiche sul territorio, aggravato della pandemia,
con conseguente domanda inevasa dall'offerta, anche per la carenza di operatori
sanitari sul territorio, a causa di un ricambio generazionale mal gestito e
crisi vocazionale;
·
le difficoltà del sistema nel suo
complesso, e in particolare del medico del territorio, di influenzare le
decisioni autonome dagli assistiti che si auto presentano in PS (i “codici
minori” bianco/verdi, che superano il 50% degli accessi totali e sono per un
20% inappropriati).
La scelta di recarsi in PS in modo
inappropriato è riconducibile a dinamiche psicosociali in un clima emotivo di
diffuso allarme riguardo alla salute, che cerca e trova conforto nella
"potenza" dell'offerta ospedaliera, dove la tecnologia diagnostica e
specialistica è prontamente disponibile, affidabile e "attrattiva"
per la gente. C’è chi ha proposto come soluzione per queste problematiche un
servizio di consulenza psicologica in PS, mandato impegnativo ma utile.
La diagnosi è stata posta dal SIMEU
fin dal 2015 a partire dal principale sintomo del malessere del PS, ovvero il
boarding: “la causa principale del sovraffollamento dei PS è il blocco
dell’uscita, cioè l’impossibilità di ricoverare i pazienti nei reparti degli
ospedali per indisponibilità di posti letto, dopo il completamento della fase
di cura in PS” mentre “gli accessi inappropriati contribuiscono
all’affollamento dei PS, ma solo in piccola parte”. L'analisi del SIMEU
sottolinea che "nei periodi di iperafflusso i cosiddetti accessi impropri
incidono peraltro in piccola parte sull’affollamento (fino a meno del 5%) e non
sono il fattore causale principale”.
A causa del boarding i pazienti
“vengono gestiti in maniera “impropria” dal personale dei Pronto Soccorso che
tecnicamente non dovrebbe più averli in carico dopo averne identificato il
percorso di soluzione. Si tratta di condizioni cliniche e assistenziali che non
trovano risposte né a livello territoriale né a livello ospedaliero”; tant’è
che gli operatori sanitari sono chiamati a combattere su due fronti, da un lato
la valutazione dei codici minori in ingresso e dall’altro la presa in carico, l’osservazione
breve e la cura dei pazienti in attesa di ricovero, che assorbe “fino al 40%
delle risorse umane distogliendole dalle attività prioritarie d’istituto”.
Così il PS è stretto in una morsa
per il combinato disposto di un deficit e di un surplus: da un lato subisce gli
effetti della carenza di posti letto che bloccano il flusso in uscita
(boarding) e mentre dall’altro è alle prese con il sovrafflusso di codici
minori che non trovano risposte adeguate nell’offerta territoriale di
prestazioni tecno-specialistiche. Agli operatori soffocati nella tenaglia non resta
che l’alternativa comportamentale del fight or fly, la protesta o la defezione.
La proposta di norma per consentire ai dipendenti di trasferirsi sul territorio, dopo soli tre
mesi di formazione teorico-pratica, divenendo convenzionati sarebbe un ulteriore
incentivo all’uscita dal PS di medici stanchi, stressati e demotivati. Non è difficile immaginare quali potrebbero essere
gli effetti di questa opportunità sul precario equilibrio delle strutture di
emergenza-urgenza, da anni alle prese con carenze di organico e con la scarsa
attrattività delle scuole di specializzazione, più volte denunciate dalle
associazioni di categoria. D’altra parte passeranno anni prima che la
ristrutturazione della rete territoriale prevista dal DM77 sia in grado di
intercettare un 15-20% circa dei codici bianco/verdi e non certo la metà come
ipotizza ottimisticamente il PNRR. Siamo quindi alla vigilia di un’accelerazione
delle defezioni dall’ospedale, fenomeno già in atto, con prevedibili effetti dirompenti? Il dubbio è che i decisori pubblici non siano consapevoli del possibile effetto boomerang destinato a peggiorare le condizioni dei tormentati PS.
Nessun commento:
Posta un commento