Il taglio delle pensioni dei medici incentiva le dimissioni di quanti hanno i requisiti per la pensione, con esodo anticipato di massa e impoverimento di risorse umane dei servizi a diretto contatto con gli utenti; i contraccolpi organizzativi saranno rilevanti nell'emergenza sanitaria ed anche ipotizzando una retromarcia governativa sarà difficile frenare la prevedibile uscita di chi può abbandonare l’impiego pubblico.
La proposta di taglio delle pensioni dei dipendenti pubblici ha irritato i sindacati medici e arriva in una congiuntura delicata per il SSN, contraddistinta da due criticità
- a livello territoriale emergono via via gli effetti di un ricambio generazionale mal gestito e insufficiente, peraltro previsto e accentuato dal pensionamento anticipato di una parte dei medici ultra sessantenni, destinato nei prossimi anni a lasciare senza assistenza fino a 5 milioni di cittadini e a sovraccaricare di pazienti i medici rimasti in servizio, con ulteriore incentivo all’uscita;
- a livello ospedaliero si registra un’imprevista crisi vocazionale dell’accesso alle scuole di specializzazione rispetto agli scorsi anni, che nel 2023 ha portato alla sottoscrizione di 2/3 dei contratti disponibili, con punte del 70-90% di mancate immatricolazioni in alcune aree cliniche; non è un caso che le scuole meno attrattive siano quelle più esposte al contatto con gli utenti, come la medicina di comunità e quella di emergenza/urgenza, o più legate all’organizzazione sanitaria mentre quelle più gettonate sono le specializzazioni che consentono attività libero-professionali - come dermatologia, oculistica e cardiologia - in sintonia con la privatizzazione di fatto conseguente alle incolmabili liste d’attesa della specialistica ambulatoriale pubblica e convenzionata.
La defezione di massa dalle specializzazioni assieme alle preferenze selettive degli specializzandi indica un salto di qualità negli equilibri del mercato del lavoro, in sintonia con la privatizzazione strisciante e con conseguenze sul lungo periodo. Le scelte vocazionali delle ultime generazioni, prima in MG ed ora anche per le specializzazioni, hanno ridimensionato la posizione dominante della parte pubblica al tavolo negoziale, basata sulla convinzione che per i professionisti non vi erano alternative all’impiego nella medicina pubblica. Invece i giovani medici hanno lanciato un chiaro segnale di disimpegno dal SSN che asseconda e accelera la privatizzazione in atto, ormai avviata e difficilmente reversibile.
In questo contesto, di per sé problematico, arriva il taglio delle pensioni dei dipendenti pubblici dal 2024 con conseguenze facilmente immaginabili
2. Invece che premiare la dedizione dimostrata dagli operatori sanitari che resistono in una prima linea sguarnita e allo stremo li si penalizza economicamente dopo decenni di servizio e cronici ritardi nel rinnovo dei contratti, con due prevedibili effetti collaterali;
3. un incentivo alle dimissioni di quanti hanno i requisiti per la pensione con esodo anticipato di massa e impoverimento di risorse umane dei servizi a diretto contatto con gli utenti;
4. un disincentivo per l’accesso alle specialità più esposte e meno attrattive che hanno registrato il minor numero di adesioni al recente concorso nazionale.
Possibile che nessuno abbia messo in conto il significato simbolico e gli effetti perversi di una decisione discutibile? I sindacati hanno già dato indicazioni in tal senso ai propri iscritti e si calcola che 2 mila medici entro la fine abbiano i requisiti per andare in pensione e altri 4 mila se ne potrebbero aggiungere nel 2024, indebolendo un SSN malandato e in certi settori in grave difficoltà. Come è facile immaginare i contraccolpi organizzativi saranno rilevanti nell'emergenza sanitaria ed anche ipotizzando una retromarcia sarà difficile frenare il prevedibile esodo di chi può abbandonare l’impiego pubblico.
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