Nel documento di posizione sulla dirigenza medica manca una valutazione degli aspetti economici della proposta e sulla fattibilità in relazione ai precedenti tentativi di riforma. E’ comprensibile che un gruppo di lavoro composto da MMG non si addentri nei dettagli finanziari; tuttavia un progetto di tale complessità non può non tener conto del quadro politico ed economico-sociale sistemico, se ha l'ambizione di entrate nell'agenda pubblica per arrivare alla realizzazione (al link la prima parte).
Il quadro generale macro comprende le compatibilità economiche, le tendenze organizzative, del mercato del lavoro e socioculturali di sfondo, che possono sia supportare sia indebolire un ambizioso disegno riformatore come quello proposto. Ecco tre problematiche contingenti che caratterizzano l'attuale fase sanitaria.
1- Dopo aver
sperperato milioni per pagare profumatamente i gettonisti in Lombardia hanno arginato il fenomeno con l'arruolamento diretto dei libero-professionisti disponibili, senza la mediazione dalle Coop, a copertura dei posti carenti
in PS, corsie e ambulatori per codici bianchi, con compensi di 80-60 e
40€/ora. Se questa è la tendenza, anche per via di stipendi da dipendenti poco attraenti, come è possibile che a decine di migliaia di convenzionati sia data la possibilità di diventare dipendenti? Tra l'altro recentemente anche gli IfC sono stati incaricati con contratti libera-professionali a tempo parziale, più convenienti rispetto agli oneri della
subordinazione e in linea con la tendenza generale all'esternalizzazione di alcune funzioni (la MG convenzionata è il primo esempio storico di estrenalizzazione dell'assistenza, risalente alla prima riforma sanitaria).
2-Se passasse la dipendenza opzionale per un numero consistente di convenzionati quante risorse sarebbero necessarie per garantire loro uno stipendio analogo alle quote capitarie di un generalista, che per via del pensionamento dei colleghi superano abbondantememnte il massimale? A questo zoccolo duro andrebbero aggiunti gli oneri accessori a copertura dei fattori produttivi per lavorare sul territorio a carico del SSN, puntigliosamente elencati nel documento come se per il MEF fossero un incentivo per allentare i cordoni della borss e non un disincentivo. A conti fatti il futuro MMG dipendente potrebbe godere di maggiori tutele ma a quale prezzo, sul piano retributivo e dell'autodeterminazione?
3-Gli specializzandi hanno disertato in massa le discipline generaliste, con in testa la specializzazione in medicina di Comunità e cure primarie, per preferire le competenze più spendibili sul mercato o a maggiore tasso tecnologico, come cardiologia, oculistica, dermatologia, chirugia plastica etc... C'è da dubitare che in futuro la dipendenza possa invertire questo trend, che riguarda anche il corso di MG,
per una maggiore attrattività normativa rispetto alla
convenzione, che perlomeno lascia ancora spazi di autonomia organizzativa e di discrezionalità clinica. E' un po' paradossale e ingenuo proporre la subordinazione gerarchica e la gestione manageriale - tutt'ora pervasa da tendenze tayloristiche e da una visione meramente esecutiva del medico - come via di fuga della medicina amministrata e della burocratizzazione del territorio, quando i dipendenti scelgono nel contempo di passare dal nosocomio all'Assistenza Primaria per motivazioni speculari. Non si rischia di passare dalla padella convenzionale alla brace della dipendenza?
I precedenti tentativi riformatori
Negli ultimi 20 anni non sono mancati i tentativi di “rifondazione” della medicina territoriale, a partire dalla riforma Balduzzi del 2012 che ha introdotto le aggregazioni funzionali ed organizzative dell’assistenza primaria. Tuttavia non à bastato un decennio per l’attuazione pratica del cambiamento in tutta Italia, cioè di una riforma tipicamente incrementale e dal basso, a costo quasi zero per quanto riguarda le AFT. Il vulnus che ne ha condizionato l’attuazione, specie riguardo alle forme organizzative complesse, è stata la mancanza di adeguati investimenti e di un programma di lungo periodo per tradurre le deliberazioni in azioni concrete, con l’eccezione di alcune iniziative regionali.
C’è quindi da
dubitare che in tempi brevi si possa introdurre un'epocale riforma dai costi
non ancora definiti, ma verosimilmente rilevanti, in un frangente
economico-finanziario, sociale ed organizzativo caratterizzato dalle criticità descritte nel documento: defezione
pensionistica anticipata dalla sanità pubblica, crisi vocazionale delle
nuove generazioni, demotivazione dei medici in attività per una
burocratizzazione inarrestabile, l’aumento dei carichi di lavoro e tensioni
crescenti per sfilacciamento della relazione fiduciaria, cronici ritardi nel rinnovo degli ACN e dei contratti dei dipendenti. Il nuovo status giuridico sarà in grado di riannodare i fili di una relazione di cura divenuta instabile e "liquida" per l'influenza di un contesto sociale e culturale precario e turbolento?
A questo malessere collettivo dovrebbe rispondere la combinazione tra ristrutturazione della rete sociosanitaria del PNRR e i benefici della dipendenza prospettati nel documento per le condizioni di lavoro e di vita dei generalisti. Peraltro alcuni di questi vantaggi potrebbero essere conseguiti subito con l'ACN; ad esempio l’ente pensionistico si potrebbe far carico di maggiori tutele, mentre sul piano della qualità professionale e clinica potrebbe contribuire Case ed Ospedali di comunità, nel contesto di ACN innovativo mantenendo l'attuale status giuridico.
Nulla osta che le strutture
introdotte con il DM77, a partire dalla CdC Spoke, possano fin da subito coagulare una migliore qualità del
lavoro, degli esiti di salute e delle relazioni con la gente, come dimostrano i numerosi casi di buone pratiche aggregative
dei MMG promosse dalle Case della Salute nelle regioni capofila, dove il lavoro di gruppo e la
multiprofessionalità nell’assistenza primaria è una pratica organizzativa consolidata. Ad esempio il rapporto parasubordinato non ha ostacolato la realizzazione delle esperienze d'eccellenza toscane, additate a modello di progettazione e condivisione comunitaria dal basso da imitare.
E’ curioso che quanti hanno portato ad esempio per altre regioni queste esperienze virtuose siano gli stessi che hanno additato all’opinione pubblica il presunto libero-professionista di base come primo responsabile delle criticità evidenziate dalla pandema. Davvero si pensa che uno status giuridico calato dall'alto possa compensare visioni obsolete e invertire decennali politiche regionali improntate alla scarsa considerazione per l'AP se non alla sua liquidazione? Per ogni problema complesso esiste una soluzione semplice ma, come notava Umberto Eco, è sbagliata al pari, ad esempio, della semplicistica teoria del "medico generico" colpevole delle disfunzioni della sanità territoriale.
Conclusioni
Come sarebbe oggi il panorama dell’assistenza primaria se gli ACN fossero stati rinnovati per tempo, in sintonia con la Balduzzi e non dopo un decennio, e se la riforma fosse stata accompagnata da un adeguato cronoprogramma di investimenti nelle infrastrutture, nell’organizzazione, nella formazione e nella valorizzazione delle risorse umane del territorio? Invece ha prevalso l’incuria, il disinteresse e in certi casi l’abbandono del territorio e dei suoi professionisti, sui quali ora si getta la croce del capro espiatorio per occultare improvvide politiche di corto periodo.
PNRR e DM77 sono forse l’estremo e purtroppo maldestro tentativo di recuperare un decennale ritardo di policy incrementali, centrate sulla fiducia nelle potenziali risorse dei medici del territorio, che non si recupera d’incanto con una modifica di status giuridico subordinato, calato dall’alto e a rischio di limitazione dell’autonomia, intrusività amministrativa, ulteriore burocratizzazione aziendalistica e standardizzazione manageriale.
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