L'inizio del 2022 segnala due anniversari per quanto riguarda la gestione della cronicità: il decennale dei CReG e il quinquennale della Presa in Carico della cronicità in Lombardia o PiC.
L’allegato 14 della delibera di fine 2011 introduceva in Lombardia dall'anno successivo i CReG, ovvero gli esordienti DRG della Cronicità. La riforma poggiava su un giudizio impietoso verso le cure primarie, che era nel contempo la definizione del problema ispiratrice delle policy lombarde per tutto il decennio: “la realtà dei fatti ha mostrato che l’attuale organizzazione delle cure primarie manca, in termini complessivi, delle premesse contrattuali e delle competenze cliniche, gestionali ed amministrative richieste ad una organizzazione che sia in grado di garantire una reale presa in carico complessiva dei pazienti cronici al di fuori dell’ospedale”.
Dopo pochi anni, visti i deludenti esiti dei CReG, arrivava una svolta radicale nel segno della messa da parte della medicina generale per far posto alle cure specialistiche ospedaliere: il 30 gennaio del 2017 veniva pubblicato sul BUR regionale la prima DGR sulla PiC della cronicità e fragilità - salutata con entusiasmo dagli opinion leader e dagli esperti bocconiani, si veda il PS - a cui se ne sarebbero aggiunte altre 3 nel corso dell'anno prima dell'avvio ufficiale nella primavera del 2018.
E' tempo quindi di bilanci, al termine primo quinquennio di PiC che segna anche il suo "pensionamento" di fatto. La prima DGR del 2017 prevedeva la centralità dei Gestori organizzativi nella cura dei cronici, delegata al Clinical Manager ospedaliero, come referente dei pazienti in sostituzione del generalista, e la complementare marginalizzazione della MG da quest'area clinico-assistenziale.
La strategia era palesemente anacronistica e sfasata di decenni rispetto all'evoluzione del sistema ospedaliero: spostare il baricentro delle cure per la cronicità dal contesto naturale del territorio, più vicino e in sintonia con la vita della gente, all'istituzione ospedaliera ignorava la mission nosocomiale a farsi carico delle problematiche acute/emergenziali in ambienti ad elevata densità tecno-specialistica, testimoniata dalla riduzione all'osso dei posti letto per un turn-over accelerato delle degenze "in acuto".
Coerentemente con questa “filosofia” riformatrice la PiC faceva leva sulla concorrenza verticale - cioè tra I livello generalista e II livello nella cornice del quasi mercato o manged competition - per spostare gli equilibri delle cure su diversi fronti
https://curprim.blogspot.com/2021/03/la-presa-in-carico-della-cronicita-e.html |
- dalla dimensione sociale di prossimità (il rapporto medico-paziente nel contesto comunitario) a quella economica del quasi mercato (la dinamica domanda/offerta e la concorrenza tra I e II livello);
- dall'organizzazione orizzontale (il network sociosanitario territoriale) a quella ospedaliera verticale (la struttura gerarchica piramidale);
- dalla relazione di cura personale (la scelta/revoca del MMG) al rapporto "contrattuale" con il Gestore organizzativo (il Patto di cura formalizzato con un anonimo Clinical Manager);
- dalla collaborazione interprofessionale (promossa dai Percorsi Diagnostico Terapeutici ed Assistenziali delle patologie croniche o PDTA) all’antagonismo tra I e II livello per l’arruolamento e la gestione esclusiva dei pazienti, nel senso del gioco a somma zero della concorrenza amministrata o managed competition.
L'urgenza di un cambiamento paradigmatico, imposto dal coronavirus, mette in luce l'irrazionalità del proposito di spostate i cronici dalle cure di prossimità a quelle ospedaliere, che il prevedibile flop della PiC ha certificato. Ma ormai è acqua passata ed oggi grazie ai fondi del PNRR si tenta una ristrutturazione della medicina territoriale tanto quanto 5 anni fa si perseguiva scientemente il suo depotenziamento nella gestione della "pandemia" da cronicità. Basterà per frenare la fuga dal territorio, all'insegna del "si salvi chi può"? Lo vedremo nel prossimo biennio.
P. S. All’indomani della pubblicazione delle delibere del gennaio e maggio 2017 la rivista Mecosan del CERGAS Bocconi ospitava un dibattito sulla PiC: tutti gli autorevoli osservatori plaudivano in modo incondizionato alla riforma e nessuno prefigurava le criticità emerse nel corso del biennio 2018-2019, sul versante quantitativo delle adesioni di medici e pazienti e sui limiti della concorrenza verticale promossa dal quasi mercato tra I e II livello. Con la sola eccezione del prof. Remuzzi, che sottolineava il rischio che le strutture private potessero “valutare quali tipologie di pazienti scegliere, in base alla convenienza della tariffa”, mentre Zanchetti stigmatizzava il fatto, in sintonia con la premessa dei CReG, che spesso il malato cronico fosse stato lasciato “privo o carente di un esperto o di una equipe di esperti che si prendano cura dell’insieme della sua salute”.
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