mercoledì 5 gennaio 2022

Ode la medico condotto

Il medico condotto, di Arnaldo Fusinato (1817-1888)


Quand’io ti veggo, dottor diletto,

Sull’arrembato bianco ginnetto,
Che va squassando la sonagliera
Fra l’arruffata lunga criniera;
Quand’io ti veggo sotto l’ombrello
Del preadamitico grigio cappello
Coll’economica pipa chioggiotta
Che l’impassibile naso ti scotta,
Questo mestissimo salmo t’intono:
-Arte più misera, arte più rotta
Non c’è del medico che va in condotta.


Come la libera luce del sole
Ciascun ti cerca, ciascun ti vuole!
Col mattutino canto del gallo
Balzi dal letto, monti a cavallo,
E senza tregua, senza respiro,
Come la posta sei sempre in giro:
Via per il monte, giù per la valle,
Su pei fienili, dentro le stalle,
Simbolo vero del moto eterno,
Sei sempre in giro la state e il verno.
Oh! non è dunque senza ragione
S’io ti ripeto questa canzone:
-Arte più misera, arte più rotta
Non c’è del medico che va in condotta.


E’ mezzanotte – per le contrade
A fiocchi a fiocchi la neve cade
Tu fra le coltri stanco e beato
Della tua sposa ti corchi al lato;
Già spento è il lume…ma sul più bello
Odi un tintinno di campanello;
– Chi è là che suona – Son io, Dottore. –
– Cosa volete ? – Mia figlia muore. –
– Ora non posso, sono occupato.-
– Ella è pagato, ella è pagato.-
Al suon di questa voce fatale
Alzi la testa dal capezzale,
E mentre in fretta ti vai vestendo,
Fra le bestemmie ruggir t’intendo:
– Arte più misera, arte più rotta
Non c’è del medico che va in condotta.


Per additarti l’aspro cammino
Va innanzi il babbo col lanternino:
Il gel t’agghiaccia le dita e il naso,
Ma non fa caso, ma non fa caso;
Stufa ambulante ti segue a lato
la dolce antifona del sei pagato;
E allor che fatte cinque o sei miglia
Trovar ti credi morta la figlia,
Misericordia! Che cosa vedi ?
La moribonda ch’è bella in piedi!
– Essa è guarita, grazie al Signore,
Felice notte, signor Dottore.-
Come la statua del Convitato
Tu resti muto, petrificato,
Mentre all’orecchio t’odi ronzare
Questo satanico intercalare:
– Arte più misera, arte più rotta
Non c’è del medico che va in condotta.


Tragge l’autunno dalla vicina
Città in campagna qualche damina?
Te fortunato sei volte e sette!
Puoi farle il quarto nel suo Tressette.
Ma se dal placido chilo si desta
Con un insolito peso alla testa,
Non darti affanno – si chiamerà
L’illustre medico della città.
Oh! le tue mani son troppo vili
Per toccar polsi così gentili.
Ma guai, Leonzio, guai se per caso
Al duro affronto tu torci il naso!
I deputati sono galanti
Colle signore che portan guanti,
E potrian dirti, Leonzio mio:
– Scorso è il triennio, vada con Dio.-
Allor, ridendo, verrei bel bello
A gorgheggiarti quel ritornello:
– Arte più misera, arte più rotta
Non c’è del medico che va in condotta.


Se a far la visita tardi mezz’ora,
Ti mandan subito alla malora;
Se qualcheduno, cui duole un dente,
Sente rispondersi – Oh! non è niente! –
E’ capacissimo, dottor mio caro,
Di dirti in faccia: Ella è un somaro! –
Ordini a caso qualche sciroppo,
O qualche pillola che costi troopo?
E’ tutto inutile, ragion non vale;
Tu sei d’accordo collo speziale.
Se tu guarisci qualche ammalato
E’ Maria Vergine che l’ha salvato;
Ma per disgrazia s’egli ti muore,
T’urlano dietro: – Can d’un dottore! –
Oh! ma finiamola la lunga storia,
E il salmo termini con questo Gloria:
– Arte più misera, arte più rotta
Non c’è del medico che va in condotta.

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