Nelle ultime 2 settimane è stato sottoscritto, con oltre 3 anni di ritardo, l'ACN/Convenzione 2016-2018 ed è stata divulgata la bozza di Convenzione per la Medicina Generale in applicazione del PNRR, mentre è ancora in forse il rinnovo dell'ACN 2019-2021 anch'esso peraltro già scaduto a fine anno. Dall'inizio dell'anno e a seguire nei prossimi mesi si dovrà recuperare un ritardo di oltre 6 anni, per via del disinteresse e della cronica mancanza di risorse che ha ispirato la strategia del rinvio dei problemi e della sistematica dilazione nel rinnovo degli ACN.
Ora però con il PNRR il contesto è cambiato ma pare che i decisori pubblici se ne siano accorti solo a fine 2021: senza strumenti normativi adeguati si rischia di perdere i finanziamenti comunitari, da qui il tentativo di recuperare in extremis patologici ritardi. Tuttavia la strada è ancora lunga ed impervia mentre i tempi sono strettissimi perchè entro fine maggio tutti dovrà essere pronto per avviare la macchina organizzativa della messa in opera regionale del PNRR.
In questo scenario è stata diffusa la bozza di rinnovo dell’ACN che secondo alcune discrezioni sarà "blindata" convertendola in un atto legislativo, per non perdere il treno del PNRR, e mettendo i sindacati di fronte al fatto compiuto: prendere o lasciare l'impianto generale della bozza, centrata sulla proposta di vincolare l'impegno professionale del MMG al parametro delle 38 ore dei dipendenti, suddivise in 20 ore dedicate all'attività ambulatoriale rivolta agli assistiti (70% dei compensi correlati alla scelta/revoca) e le restanti a programmi/obiettivi di salute "comunitaria", ovvero rivolati alla popolazione da svolgere nei distretti e nelle Case della Comunità.
Oltre agli aspetti positivi - analizzati nel post al link https://curprim.blogspot.com/2022/01/considerazioni-sulla-bozza-di-rinnovo.html - non si possono non sottolineare le criticità della bozza di ACN. Accenno solo a due aspetti pratici che mettono in dubbio l’impatto di una convenzione imposta top down, con una forzatura rispetto alle mediazioni sindacali: la questione logistica e l'assistenza domiciliare.
1 - Passeranno almeno 2 anni, se tutto va per il verso giusto, prima che siano attive almeno 1/3 delle Case e degli Ospedali di Comunità previsti sulla carta. Nel frattempo dove verranno espletate le attività previste nelle ore che i MMG sono tenuti a svolgere nelle strutture? Inoltre la tipologia standard della struttura prevede 10 sale di consultazione per i medici dell'assistenza primaria, che per un bacino di 45 residenti conta almeno 35 professionisti tra MMG, PLS, MCA e dei servizi e infermieri di comunità (per maggiori dettagli si veda il PS).
Anche considerando i locali dei distretti, sarà fisicamente impossibile ospitare tutti gli operatori sanitari in contemporanea nella 12 ore diurne, sia per l'assistenza convenzionata individuale a quota capitaria sia per le attività orarie di tipo comunitario. Senza contare che già ora i MMG hanno una gamma di strumenti per restare in contatto con i pazienti, sia in orario di studio sia oltre: contatto diretto o indiretto tramite un parente, ambulatoriale o domiciliare, telefonico o telematico, su appuntamento o ad eccesso libero, programmato od occasionale, con il medico o con il personale di studio, tramite mail o SMS, de visu o de video con televisita, teleconsulenza o in telelavoro da casa, in sincrono o in asincroni, in office o in back office etc..
Solo alla fine del quinquennio 2022-2026 vi sarà una ragionevole disponibilità di locali per ospitare una parte dei medici delle cure primarie ma solo nei maggiori centri abitati. Insomma l'obbligo di 38 ore di attività professionale rischia di rivelarsi una proposta astratta dal contesto logistico e il classico libro dei sogni, non tanto per l'ordinaria attività ambulatoriale da svolgere negli studi medici ma soprattutto per la novità delle ore di presenza nella CdC per compiti verso la popolazione.
Il problema dell' "over-booking" delle CdC sta a monte della bozza: lo standard previsto dal PNRR è il punto più critico della Missione 6. Le CdC così dimensionate – ovvero in media 1 ogni 45-50mila abitanti al centro nord e ogni 35-.40 mila nel mezzogiorno - potrebbero essere adatte alle aree urbane ad elevata densità o perlomeno nei comuni con almeno 50 mila residenti. I residenti in zone con difficoltà di collegamenti stradali, già ora penalizzati per la distanza dagli ospedali, non potranno di fatto gravitare e fruire delle CdC, come riconosce esplicitamente la bozza che attribuisce la funzione di spoke della CdC hud alla rete degli studi medici dei MMG.
Inoltre difficilmente in queste aree i MMG accetteranno di lasciare i propri studi, diffusi sul territorio, per confluire in poliambulatori lontani dalle residenze dei propri assistiti. In sostanza lo standard delle CdC da 45mila abitanti è inadatto per limiti logistici e geodemografici ai comuni con meno di 15mila abitanti della pianura, della collina e soprattutto della montagna, dove risiede oltre il 30% della popolazione italiana, che sarà possibile raggiungere solo con l’attuale rete dagli studi spoke dei MMG. Insomma, il futuro ACN, se dovesse ricalcare questa impostazione, avrebbe gli stessi difetti della Balduzzi, ovvero produrre un accordo astratto e inappropriato rispetto alle condizioni della sua messa in pratica e quindi destinato a rimanere inapplicato al pari di altre riforme rimaste sulla carta.
2- Nonostante i propositi del PNRR circa l’assistenza domiciliare occasionale e quella programmata/integrata nella bozza non vi sono dettagli su questa attività, che occupa non meno di 1 ora al giorno ogni MMG in continuità con l’assistenza ambulatoriale. L'organizzazione dell'assistenza domiciliare parte dallo studio del MMG per una intuibile motivazione legata alla prossimità. Si pensi solo ai problemi di spostamento dallo studio del medico, definito nella bozza spoke, alla Casa della Comunità in zone disagiate o scarsamente popolate.
Alle 20 ore settimanali di assistenza ambulatoriale dovrebbero essere aggiunte almeno altre 5 ore dedicate a quella domiciliare, riducendo in egual misura quelle da prestare nella sede del distretto o della Casa della Comunità. Inoltre gli operatori sanitari dell’assistenza domiciliare dovranno fari i conti con le difficoltà di spostamento per raggiungere le abitazioni di utenti residenti in piccoli paesi o frazioni distribuite in ampio territorio, con intuibili problemi di viabilità e tempi per i trasferimenti.
Questa incongruenza è ancor più marcata se si pensa che uno dei capitoli della Missione 6 è dedicato proprio all'estensione dell'assistenza domiciliare, con l'ambizioso obiettivo di arrivare al 10% di ultra 65enni curati a casa rispetto all'attuale 6%. A dire il vero nella bozza si accenna all'assistenza domiciliare ma nel segno del paradosso in quanto si prevede che nelle “12 ore settimanali svolte per iniziative definite dal distretto e/o dalla casa della comunità è prevista anche l’ assistenza domiciliare“ potendo “essere svolte presso la casa della comunità (hub e spoke), lo studio del MMG, la sede della AFT, altri locali individuati dalle autorità sanitarie”.
E’ difficile immaginare come sia possibile garantire l’assistenza domiciliare in locali diversi da quelli di residenza dell’assistito! Ma tant’è, quest’obbligo potrebbe trovare posto in una norma di legge, al pari di parametri orari rigidi e sottoposti a controllo burocratico, che ignorano la flessibilità dell’impegno professionale sul territorio, sia in studio sia a domicilio del paziente o con il telelavoro da casa, per via di ben note variazioni settimanali e stagionali della domanda.
CONCLUSIONE. La bozza di ACN da per
scontata la premessa implicita, ovvero che la relazione
di cura sul territorio si possa concentrare nell'unità spazio-temporale
di un sede fisica e di un orario di lavoro rigido, regolato da parametri
prestazionali in
stile mansionario, nella cornice del rapporto di subordinazione
gerarchica e di controllo burocratico.
L'impostazione
"vetero" della bozza non tiene conto che nell'assistenza primaria la relazione di
cura si realizza in forme, luoghi e tempi diversificati, distribuiti in
una varietà di episodi spazio-temporali grazie alla mediazione dalla
tecnologia elettronica; per giunta in risposta alla pandemia sono proliferate nuove
tecniche comunicative e di relazione sconosciute in altri contesti
organizzativi. La rivoluzione tecnologica consente di by-passare la mediazione
professionale, di dematerializzare e differire i processi, delocalizzarere i
contatti e le comunicazioni rispetto alla necessità della presenza
fisica seduta stante, seppure a prezzo della moltiplicazione dei
silos/monadi informatiche.
Una simile configurazione di pratiche clinico-assistenziali - situate nel contesto territoriale, mediate
tecnologicamente a distanza e diversificate nella dimensione
spazio-temporale - garantisce la continuità di cura sul lungo periodo
nella cronicita e si è rivelata funzionale anche nell'emergenza pandemica, per la rischiosità del contatto vis a vis in
presenza.
In questo trend
evolutivo imporre il rigido parametro organizzativo dell'orario di
lavoro nella sede unica della CdC, magari con la timbratura di un
e-cartellino in stile travet novecentesco in alternativa alle logiche di
accountability dei processi/esiti clinici, è una forzatura top down,
inappropriata e oltre tutto irrealizzabile
per un evidente deficit logistico e di disponibilità oraria delle future
CdC (si veda il PS).
P.S. In una CdC con 10 locali dedicati alle consultazioni mediche sarebbero disponibili 600 ore distribuite in 5 giorni settimanali per 35 tra MMG e PLS. Se tutti i professionisti dell'assistenza primaria dovessero esercitare tutte le 38 ore nei locali della CdC servirebbero almeno 1330 ore settimanali, escludendo infermieri di famiglia e medici dei servizi.
Si possono avanzare tre ipotesi alternative sull'utilizzo delle 600 ore disponibili che, comprendendo la giornata di sabato, diverrebbero 720.
1-Se una CdC dovesse ospitare 20 tra MMG e PLS full time servirebbero almeno 760 ore complessive, ovvero 400 per la normale attività di studio + altre 360 per le 18 ore da svolgere per compiti di comunità.
2-Se invece i locali fossero utilizzati solo per le 18 ore di attività aggiuntive da parte dei 35 professionisti, escludendo quelle dell'assistenza di libera scelta ad personam, ne servirebbero almeno 630.
3-Infine in caso di utilizzo misto, cioè per 20 tra MMG e PLS per l'assistenza individuale di 20 ore + 15 per le 18 ore di attività "comunitaria", le ore necessarie sarebbero 660.
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