martedì 16 gennaio 2018

Medici a mezzo servizio per pazienti dimezzati

Quante volte abbiamo ascoltato tessere con enfasi le lodi dell'olismo, dell’approccio bio-psico-sociale, del ruolo centrale delle cure primarie per una conduzione unitaria, globale, integrata e continuativa delle malattie croniche! Invece oggi siamo alla vigilia di una nuova era che, messa da parte la retorica politicamente corretta, si annuncia all'insegna del paziente e del medico "dimezzati", come accade al nobile protagonista del celebre romanzo di Italo Calvino. Sono le magnifiche sorti della Presa in Carico, bellezza...verrebbe da commentare!

Il rischioso dimezzamento riguarda i pazienti il cui medico non ha accettato il ruolo di gestore della Presa in Carico (da ora PiC), vale a dire oltre la metà dei 3 milioni e passa di cronici lombardi; per costoro, se sceglieranno un Gestore ospedaliero, con il Clinical Manager in sostituzione del medico curante, si prospetta una gestione "schizofrenica" e a compartimenti stagni della loro condizione, specie farmacologica, portata avanti da professionisti a mezzo servizio. Diventeranno di fatto dei "pazienti dimezzati", seguiti da medici altrettanto dimezzati, essendo stati presi in carico dal Clinical Manager del Gestore per la patologia cronica, mentre per tutte le altre affezioni, acute o croniche, resteranno in cura presso il proprio medico di MG, ma appunto “dimezzato”. A meno che i pazienti, esercitando la libertà di scelta, decidano di restare interamente a carico del proprio MMG, declinando la proposta di PiC.

Come recita la Delibera rimangono di competenza del MMG che non partecipa alla PiC “le prescrizioni relative alle ricette di farmaci e le prestazioni previste dall’ACN non strettamente correlate ai set di riferimento relativi alle patologie croniche”, come se fosse possibile separare con un taglio netto la gestione di una patologia acuta da quella cronica concomitante, di cui è portatore il medesimo assistito. Come se non fossero all’ordine del giorno le interazioni cliniche tra multipatologie, politerapie, comorbilità, complessità e multidimensionalità psico-fisiche etc….

Si pensi ad esempio a due frequenti associazioni patologiche: l'assistito diabetico tipo II con una malattia infettiva o reumatica, che potrebbero richiedere variazioni della posologia degli ipoglicemizzanti, ad esempio a seguito della prescrizione di farmaci come il cortisone o antibiotici, per un momentaneo scompenso metabolico. In teoria per poter "aggiustare" la posologia dovrebbe recarsi dal Clinical Manger per modificare il proprio PAI. Se poi esegue l'autocontrollo domiciliare della glicemia dovrà ogni volta interpellare il Clinical Manager per aumentare o ridurre gli ipoglicemizzanti?

Altro caso tipico è quello degli ipertesi, che abitualmente nei periodi estivi più caldi hanno temporanei abbassamenti della Pressione Arteriosa i quali, per dimezzare la dose degli antiipertesivi, dovrebbero fare altrettanto. Infine in presenza di edemi in un paziente scompensato o affetto da IRC il MMG dovrà chiedere il consenso del Clinical Manager per iniziare o raddoppiare il dosaggio del diuretico?

Una digressione sul piano metodologico è necessaria. Nella “filosofia” della PiC il cardine della gestione è il PAI comprendente il set di accertamenti periodici ed azioni cliniche di monitoraggio. Anche nella sperimentazione dei CReG era così ma con una differenza di fondo: la prescrizione farmaceutica era, per così dire, data per scontata ed esclusa dal Piano Assistenziale. Il motivo è semplice ed attiene proprio al metodo: nella gestione della cronicità la terapia farmacologica non è assimilabile alla programmazione dei controlli periodici degli esami del PAI, ha altre logiche, altre priorità, un'altra "filosofia", un diverso processo di monitoraggio clinico-terapeutico, come sanno per esperienza sul campo tutti i medici pratici.

Il cognitivista Schoen parla di “conversazione riflessiva con la situazione problematica” e di molteplici livelli di “riflessione nel corso dell’azione”, che supportano il costante adattamento delle decisioni in relazione all'evoluzione della patologia in ogni singolo assistito; questo approccio non può rientrare in uno schema rigido e prefissato per un anno intero, come nel PAI della PiC, ma richiede informalità e flessibilità, personalizzazione degli aggiustamenti terapeutici in funzione dell’obbiettivo, della risposta o della non risposta alla cura.

Questo atteggiamento riflessivo e direi “cibernetico” è tanto più necessario quanto più complessa è la situazione clinica, in particolare quindi negli anziani pluripatologici, fragili e in precario equilibrio. Come sottolineano Delvecchio e Vettore "la soluzione dei problemi complessi non può che essere olistica, cioè deve essere affrontata 'complessivamente'". Il motivo è semplice ed intuitivo: decisioni terapeutiche e modificazioni di schemi complessi richiedono l'integrazione di una pluralità di informazioni sul campo e in "tempo reale", dai parametri clinici alla soggettività del paziente, dagli esiti degli accertamenti alla risposta terapeutica, dagli effetti collaterali alla compliance, dalle controindicazioni alle interazioni, dal contesto socio-abitativo alle risorse familiari etc. Insomma un giudizio clinico ponderato ed appropriato si basa su una valutazione globale e multidimensionale del problema complesso.

Ad esempio nei pazienti in assistenza domiciliare la visita di controllo mensile o quindicinale si conclude spesso con una variazione dei tempi di somministrazione, con la sospensione di un farmaco, con la riduzione o un aumento del dosaggio, con l’introduzione di un nuova molecola etc.. fino al successivo controllo. Chi si assumerà l’onere e la responsabilità di queste delicate decisioni terapeutiche nei pazienti più complessi? Chi si recherà al domicilio per monitorare i parametri clinici e verificare gli effetti di una nuova medicina?

Insomma per il "paziente dimezzato" la PiC potrebbe comportare rischi sanitari correlati al venir meno della continuità assistenziale e della visione unitaria della sua patologia, che sono attualmente assicurati dalla figura del medico di MG, inteso come garante della gestione "olistica" della condizione cronica, spesso multipatologica e polifarmacologica. Senza contare le problematiche relative alla responsabilità professionale per eventuali disguidi, problemi di comunicazione o discordanze terapeutiche tra gli emi-medici, entrambi "dimezzati" al pari dei pazienti. In presenza di effetti collaterali, interazioni, controindicazioni per nuove patologie etc. chi dei due di assumerà la responsabilità legale? Anche questa verrà dimezzata?

Ordine professionale e società scientifico-culturali forse potrebbero dire la loro, se non altro per tutelare i pazienti, tenere alto il buon nome della categoria e ribadire la centralità del metodo razionale e delle buone pratiche cliniche. Certi principi non si possono negoziare…a meno che una Delibera abbia il potere di annullare un sapere pratico sedimentato nell'ultimo secolo.

BIBLIOGRAFIA
Delvecchio L, Vettore L, Decidere in terapia, Dialogo sul metodo della cura, Liberodiscrivere ed., Genova 
Parisi G, Le caratteristiche fondamentali della medicina di comunità, in Vettore, Delvecchio, Dottori, domani.., A.Delfino Editore, Roma
Schoen D, Il professionista riflessivo, Dedalo, Bari
Scheon D, Educare il professionista riflessivo, Franco Angeli, Milano

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