Il secondo ingrediente della ricetta per una vera riforma delle cure primarie, avanzata da Polillo e Coll. sul QS, è il passaggio alla dipendenza di MMG e Pediatri, che verrebbero inquadrati nel ruolo di Dirigente medico (al link la I parte: http://curprim.blogspot.com/2021/03/quale-riforma-delle-cure-primarie.html )
Con il passaggio alla dipendenza cambierebbe il
contesto economico e relazionale su diversi piani
- si ridurrebbero
i margini di libertà e discrezionalità professionale, nel senso della
prevalenza dei vincoli del rapporto subordinato e delle compatibilità organizzative
“aziendali” (rispetto di protocolli, ordini di servizio, subordinazione
gerarchica verso i "capi" etc.);
- si limiterebbe
la facoltà di scelta dei pazienti, nel momento in cui ad un medico
verrebbe attribuito un numero di 1000 pazienti, ma soprattutto “un compenso
fisso per svolgere la funzione di medico di fiducia nei confronti di chi
lo ha scelto”, come si legge nella proposta di Polillo & C;
- verrebbero
quindi meno le conseguenze economiche per il medico della scelta/revoca, che
negli ultimi anni sono alla base degli effetti perversi della ricusazione, utilizzata strumentalmente da alcuni pazienti “esigenti” per ottenere vantaggi personali,
violando regole e vincoli normativi, dalle note AIFA e quelle dei LEA etc.
In buona sostanza il medico potrebbe tranquillamente
dire molti più NO alle richieste indecenti o semplicemente
irricevibili di alcuni pazienti, attualmente “incontrollabili” per via di una
facoltà di scelta/revoca facile, discrezionale e capricciosa. In altri termini
al paziente esigente e pretenzioso verrebbe sottratto l’uso strategico ed
opportunistico dell’incertezza correlata alla “minaccia” della revoca, da
giocare nel caso in cui il medico non fosse disponibile ed assecondarne i
desiderata del "cliente". Con la dipendenza si sposterebbero alcuni degli attuali equilibri
normativi a favore di una maggiore tutela per il medico come la retribuzione
fissa, garanzie normative circa i costi di produzione, ferie e malattie, una maggiore
copertura per la responsabilità professionale etc.. Peraltro l'obiettivo di introdurre una parte dei compensi in relazione al raggiungimento di obiettivi di salute e indicatori di performances clinica, a prescindere dal numero di pazienti, può essere raggiunto anche con lo status giuridico convenzionato, a patto di superare le pervicaci resistenze dei sindacati ad accettare retribuzioni sulla base dei risultati.
La relazione medico-paziente diverrebbe più rigida e
formale rispetto all’attuale, di carattere “negoziale”, informale ma potenzialmente instabile sul versante del paziente. A prezzo però di ridurre la libertà di scelta dei cittadini e con il rischio di irrigidire e spersonalizzare la relazione, come accade nelle grandi ed anonime organizzazioni sanitarie
in cui prevale la funzione sulla personalizzazione del rapporto. Insomma la “scelta
del medico di fiducia” e il “rapporto fiduciario che può cessare in ogni
momento, a richiesta dell’assistito e del medico” verrebbero ridimensionati dal
passaggio alla dipendenza, soprattutto per il paziente.
Se c'è un aspetto che la gente detesta è la
discontinuità del rapporto, il continuo ricambio di interlocutori e il
carattere impersonale/anonimo della relazione di cura, che viene attivamente
ricercato rivolgendosi alla libera-professione specialistica, per chi
naturalmente se la può permettere. Questa esigenza vale soprattutto nella
dimensione della cronicità e meno nelle situazioni acute, quando ci si
deve rivolgere giocoforza a chi è di turno in quel momento. Il rischio delle
case della salute multiprofessionali è quello che prevalga la funzione
impersonale dell'organizzazione sulla continuità e sulla personalizzazione
della relazione di cura, tanto esaltata con enfasi retorica ma che è l'eccezione
nelle grandi strutture, se non altro per via dei turni della copertura H24.
In sostanza si ridurrebbero i margini di
discrezionalità e di autonomia del medico – che attualmente si trincererebbe spesso
nello status di libero-professionista, come si legge nel documento, per
svolgere attività assistenziale separata e di scarsa efficacia - a favore di
una sua maggiore integrazione nella struttura aziendale ed indipendenza dal
paziente. Peraltro un giudizio di inefficacia e inappropriatezza così pesante verso
un’intera categoria, al limite della squalifica professionale generalizzata, dovrebbe
essere supportato da prove empiriche e sottoposto al vaglio dei diretti interessati; negli ultimi decenni diverse
indagini demoscopiche hanno fatto emergere tra gli utenti del SSN orientamenti
di opposta valutazione, ovvero un gradimento e un apprezzamento per la MG superiore
a quello riservato ad altri comparti del SSN. Per evitare il rischio di generalizzazione
autoreferenziale - a prescindere dai contesti, dalla storia, dalle situazioni locali e dalle opinioni altrui - insito
in giudizi esternati da chi ha poca esperienza pratica del territorio, non resta che sondare opinioni e percezioni degli utenti direttamente
coinvolti nel servizio. E solo dopo mettere mano ad una progetto di riforma
radicale! La credenza che lo status libero-professionale equivalga ad "un'attività assistenziale separata e di scarsa efficacia" è un tipica teoria causale del problema che richiederebbe prove schiaccianti che tuttavia gli autori non si preoccupano di esibire.
Infine due brevi considerazioni di carattere generale.
Il modello organizzativo proposto (un centro
territoriale ogni 15 mila abitanti, con 15 ex MMG e 10 ex medici di CA +
specialisti a personale sociosanitario) può essere adatto per centri
medico-grandi ma non certo per i comuni con meno di 10 abitanti, deve vive quasi
1/3 della popolazione, specie in zone disagiate e lontane da strutture
ospedaliere. In queste località l’attuale
rete di medici single o di medicine di gruppo con 3-5 componenti resterebbe la
formula che garantisce la maggiore accessibilità e capillarità della copertura
dei bisogni della popolazione rurale o delle zone di collina/montagna, lontane
dalle città.
I costi della riconversione logistica e giuridica della medicina del
territorio (strutture distrettuali diffuse nei comuni con popolazione superiore
a 10 mila abitanti e passaggio alla dipendenza degli attuali 60 mila professionisti
convenzionati) sembrano proibitivi e difficilmente sostenibili per le finanze
pubbliche, se non attingendo copiosamente nei prossimi anni ai fondi del ricovery
plan, che è l’occasione che ha indotto diversi portatori di interessi
ad avanzare il progetto qui analizzato; la proposta di riconversione alla dipendenza dei
convenzionati grazie ai finanziamenti europei dovrebbe favorire il passaggio
della riforma delle cure primarie dall’agenda pubblica a quella istituzionale. Saranno
i tecnici incaricati di valutare dal punto di vista finanziario un proposito così impegnativo a decidere della sua compatibilità rispetto ai vincoli delle
risorse riservate all’Italia dalla UE.
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