Mai come in queste settimane le vaccinazioni sono al centro dell'interesse e delle preoccupazioni della gente, in un'altalena emotiva di timore e speranza. Se i cittadini decidessero solo in modo freddo e distaccato, a mo' di statistici bayesiani, non si porrebbe la questione del rischio vaccinale, perchè il beneficio atteso è inequivocabilmente a favore della vaccinazione, seppure con diverse sfumature statistiche. Ma la sospensione del vaccino Astra Zeneca ha rimescolato le carte, provocato sconcerto e ansie nei soggetti candidati all'inoculazione.
C'è un precedente storico che dimostra quanto sia influente l’aspetto emotivo sulle decisioni riguardanti la salute durante una campagna di vaccinazione di massa. Nel 2014 in piena campagna vaccinale le notizie sui presunti decessi attribuiti all'anti-influenzale Fluad seminarono il "panico" tanto che in poche settimane si verificò un calo del 30% circa di adesioni. In quel caso, come oggi con il vaccino Astra Zeneca, era in ballo la salute di persone sane, con tutti i risvolti psicologici di tale decisione in termini di responsabilità individuale. Sia il rischio-vaccino che il rischio-complicanza hanno a che fare con concetti probabilistici, astratti e un po' astrusi, e con la dimensione temporale, che nel caso del COVID-19 però è dirimente.
Tra gli addetti ai lavori ci si interroga sulle motivazioni che spingono al rifiuto del vaccino e sulle dinamiche psicologiche alla base di tale decisione, nonostante i pesanti rischi in caso di contagio da SARS-COV2. All'origine di questa scelta vi è, a mio parere, un'asimmetria del giudizio probabilistico e della valutazione temporale dei possibili effetti avversi della vaccinazione, evento “artificiale”, rispetto al fatto "naturale" della malattia. Aderendo alla proposta di vaccinazione il soggetto si espone deliberatamente e consapevolmente qui ed ora ad un rischio immediato, sebbene molto piccolo; al contrario rifiutando la vaccinazione proietta la speculare probabilità di contrarre la malattia in un futuro indefinito, com’è appunto il rischio di un ipotetico contagio. Accade il contrario invece quando si assume un antibiotico per un'infezione batterica in atto o meglio ancora come profilassi prima o dopo un intervento chirurgico: il vantaggio immediato per l'azione anti-batterica del farmaco è incomparabile rispetto al rischio di incorrere in un effetto collaterale.
Non tutte la campagne di vaccinazione però si equivalgono in quanto non sempre è in gioco lo stesso equilibrio tra valutazione probabilistica e temporale del rischio malattia rispetto ai paventati effetti collaterali del vaccino. Per aderire con convinzione alla proposta di vaccinazione occorre superare quella sorta di asimmetria "causale" che distingue la vaccinazione dall'evento malattia. In passato nel caso del vaccino anti influenzale o anti-morbillo hanno pesato le emozioni negative correlate al disallineamento temporale tra i due potenziali eventi dannosi: sui piatti della bilancia decisionale pesavano, da un lato, un evento attuale e certo (la vaccinazione) che comporta un rischio di effetti avversi immediati - potenzialmente gravi, seppur rari - mentre sull’altro piatto gravava un evento ipotetico (l’eventuale contagio) che a sua volta esponeva a conseguenze negative ma aleatorie, come le complicanze dell'influenza o del morbillo. Il confronto tra i due rischi era potenzialmente sfavorevole, in soggetti particolarmente sensibili al rischio, alla decisione di aderire alla vaccinazione per prevenire una futura malattia, che si collocava in un orizzonte temporale indefinito, più o meno lontano e quindi anche improbabile.
La simultaneità cronologica tra epidemia e vaccinazione
Tuttavia nel caso specifico del coronavirus la situazione è diversa, rispetto alle precedenti campagne vaccinali anti-influenzali e anti-morbillose. La probabilità contrarre il COVID-19 è più elevata rispetto agli effetti collaterali/avversi da vaccino perchè non si tratta di prevenire infezioni future ma di scongiurare un rischio attuale e concreto di pesanti sofferenze fisiche, di ricovero, fino alla morte, presente ormai quotidianamente da un anno nella vita di tutti. Insomma a fare la differenza è la compresenza nel tempo e nello spazio della pandemia assieme alla campagna di vaccinazione, tanto attesa quanto potenzialmente risolutiva di una crisi sanitaria pandemica di portata storica, per le sue pesanti conseguenze a livello sanitario, sociale ed economico.
Vi è inoltre un precedente significativo e vicino, nel tempo e nello spazio, di queste dinamiche cognitivo-comportamentali. A cavallo tra il 2019 e il 2020, proprio nelle stesse zone dove pochi mesi dopo sarebbe divampata la terza ondata, era stato registrato un numero anomalo di casi di meningite che avevano indotto le autorità sanitarie ad organizzare una campagna straordinaria di vaccinazioni volontarie di massa. La gente aveva risposto immediatamente, affollando in gran numero le sedi di inoculazione del vaccini anti-meningococco C, proprio per la simultaneità del rischio malattia e della tutela del vaccino. In sostanza anche con il COVID-19 la discrasia temporale e probabilistica, che caratterizzava precedenti campagne vaccinali, viene annullata dalla sinergia tra presenza minacciosa del virus e possibilità di protezione offerta dal vaccino, come nel caso della terapia antibiotica in profilassi o per la cura di un'infezione acuta in atto. Di fatto si è invertita la sequenza cronologica tra immunizzazione ed epidemia, per cui oggi i vaccini non hanno una finalità preventiva ma l'obiettivo di "curare" la pandemia, di contrastare la diffusione del contagio di massa.
Ecco perchè lo stop temporaneo del vaccino Astra Zeneca avrà un impatto negativo marginale sulla campagna di vaccinazione di massa, come sembrano confermare i primi dati sulle disdette degli appuntamenti dopo la ripresa delle vaccinazioni. Mai in passato il beneficio di una vaccino è stato così consistente ed attale tanto da contrastare entrambi i rischi, quello dell'epidemia in atto e contemporaneamente quello dei possibili effetti collaterali del vaccino stesso. Solo un fattore negativo può controbilanciare la propensione alla vaccinazione: la presenza di altri vaccini con un profilo di rischio più favorevole potrebbe spingere alcuni ad attendere per essere inoculati in un secondo momento con un preparato più "sicuro".
Infine un altro elemento può favorire il superamento “razionale” della discrasia tra l’esposizione al rischio di effetti avversi, qui ed ora, e il beneficio preventivo del vaccino: la consapevolezza dell'importanza delle conseguenze sovraindividuali ed "ecologiche" della campagna vaccinale, ovvero le cosiddette esternalità positive, così definite dall'economia sanitaria. Grazie alla vaccinazione anche SARS-COV 2, come altri virus in passato, potrebbe essere eradicato, mentre una bassa copertura vaccinale nella popolazione ne vanificherebbe l'efficacia preventiva. In questo senso la vaccinazione di massa è equiparabile ad un bene comune, come è stato più volte sottolineato, mentre nella decisione di non vaccinare prevalgono le motivazioni strettamente individuali ed "egoistiche".
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