martedì 2 agosto 2016

I nuovi codici di priorità, questi sconosciuti!

C'era una volta il “bollino verde”, introdotto all’ inizio del secolo in Lombardia, per instradare in una corsia preferenziale le cosiddette “urgenze differibili”. L’obiettivo era di offrire un’alternativa all’ utilizzo improprio al PS, onde contenere il sovraccarico delle strutture di emergenza/urgenza: grazie all’ apposizione del fatidico adesivo verde da parte del medico di MG la prestazione diagnostica o specialistica poteva essere deviata sulle strutture ambulatoriali ordinarie, che erano tenute a soddisfarla entro 72 ore dalla prenotazione.
Ben presto però il bollino verde è stato utilizzato per scopi non previsti dagli amministratori regionali e, invece di migliorare l’appropriatezza organizzativa e temporale dell'offerta, e si è trasformato in un grimmaldello per aggirare le lunghe liste d'attesa, in situazioni che nulla hanno di urgente: per giunta in molti casi l'utilizzo dell'urgenza differibile avviene su pressione dagli assistiti, per by-passare liste d’attesa, o su “suggerimento” dal personale amministrativo addetto alla prenotazione.
La vicenda del “bollino verde” è un esempio delle conseguenze inintenzionali e impreviste di una deliberazioni finalizzata a raggiungere bel altro obiettivo, tantè che in alcuni casi in i CUP non procedono alla prenotazione delle “urgenze differibili” per eccesso di richieste e con tempi di esecuzione della prestazione ormai fuori controllo.
Come rimediare agli effetti “perversi” del bollino verde, migliorare l’appropriatezza organizzativa riducendo lo squilibrio tra domanda ed offerta di prestazioni ambulatoriali? La soluzione, caldeggiata da tempo dalla MG ( http://curprim.blogspot.it/2015/10/una-modesta-proposta-per-razionalizzare_26.html ), è arrivata all'inizio del 2016 anche in Lombardia, dopo essere stata sperimentata in altre regioni: una diversificazione dei criteri di priorità temporale delle prestazioni ambulatoriali, in modo che la varietà dell’offerta organizzativa possa venire incontro alla varietà delle richieste provenienti dal territorio.
Così dal 2016 sono entrate in vigore nuove classi di priorità, nell'ambito dell'introduzione della dematerializzazione delle prescrizioni di diagnostica ambulatoriale (Ricetta Elettronica) e come previsto dal Piano Nazionale di Governo delle Liste di Attesa 2010-2012, così articolate:
  • U= urgente (nel più breve tempo possibile o, se differibile, entro 72 ore)
  • B= entro 10 gg
  • D= entro 30 gg (visite) entro 60 gg (prestazioni strumentali)
  • P= programmabile
In teoria a pieno regime i nuovi “filtri” dell’accesso alle strutture d’offerta e il conseguente riassetto organizzativo dovrebbero produrre un significativo miglioramento dell'appropriatezza temporale ed organizzativa delle prestazioni diagnostiche, conseguendo alcuni obiettivi attesi da tutti gli attori:
  • riduzione del numero di bollini verdi inappropriati, grazie alla deviazioni delle prestazioni verso le priorità B e D;
  • percorsi diagnostici più adatti alle esigenze cliniche dei singoli casi e razionalizzazione organizzativa delle prestazioni ambulatoriali;
  • maggiore soddisfazione degli utenti, per una risposta più pronta ed efficace, in relazione ai bisogni soggettivi, e con minore ricorso alle prestazioni libero-professionali in alternativa all'offerta del SSR.
Purtroppo però, a più sei mesi dall'entrata in vigore dei nuovi codici di priorità, l'applicazione pratica delle nuove norme è ancora incompleta e, come si suol dire, a macchia di Leopardo. Le strutture erogatrici infatti stentano ad adattare la gestione delle agende di prenotazione e i sistemi informatici ai nuovi standard e capita, non di rado, che la priorità venga del tutto ignorata al momento della prenotazione dell'esame o della visita ambulatoriale. Rispetto all’auspicata appropriatezza temporo-organizzativa, garantita dai nuovi criteri di priorità, prevale una puntigliosa richiesta di adattamento burocratico del MMG alle regole amministrative delle strutture, a base di ripetizioni e correzioni delle richieste quando queste non collimano con le esigenze economico-finanziarie, a prescindere da quelle cliniche.

sabato 11 giugno 2016

Virus e batteri pari non sono!

Non passa mese che gli organismi sanitari internazionali non lancino l'allarme sulla diffusione delle resistenze batteriche agli antibiotici, fenomeno ormai su scala planetaria, e che recentemente ha portato alla ribalta dei media un ceppo di E.Coli resistente a tutti gli antibiotici disponibili. Se ne è occupata anche la trasmissione televisiva Report, documentando come l'abuso di antibiotici in zootecnia sia responsabile della diffusione di Coli, Stafilococchi, Cambylobacter e Klebsielle multiresistenti, che arrivano agli uomini contaminando gli alimenti.

Se ne sta interessando attivamente in prima persona anche la ministra Lorenzin, che ha diffuso un comunicato in cui si ribadisce che "la resistenza agli antibiotici è un tema al centro del governo da tre anni, che ho portato anche durante il semestre della presidenza in Europa. Abbiamo avviato dei programmi in Italia e in Europa, e tra l'altro ora è all'ordine dei lavori come emergenza mondiale perché è la prima causa di morte negli ospedali in ambito Ghsi (Global health security initiative), G7 e in ambito dell''Oms. Insomma, una vera e propria emergenza mondiale".....omissis.....
“Si tratta della resistenza non a un VIRUS ma a molti ed è quindi multifattoriale - ha continuato il Ministro - Come si combatte la resistenza agli antibiotici? Si combatte in molti modi: il primo, avendo un consumo degli antibiotici durante la propria vita assolutamente appropriato, non assumendo per esempio antibiotici da soli perché magari abbiamo un po' di  febbre"......omissis..... Ultimo tema, ancora, quello della ricerca sugli antibiotici: è evidente che i VIRUS si sono evoluti con un termine di resistenza e quindi si sta stimolando la ricerca sui nuovi antibiotici che possono combatterla". (il testo completo su http://www.regioni.it/sanita/2016/05/31/sanita-lorenzin-resistenza-antibiotici-tema-al-centro-agenda-461769/ ).

Lo "svarione" ministeriale dimostra in modo eclatante che il primo obiettivo di un'efficace campagna educazionale sul corretto uso degli antibiotici è quello di far comprendere alla gente la fondamentale differenza tra infezioni batteriche e virali; la confusione o l'incertezza sulla cuasa dell'infezione è spesso all'origine di un uso scorretto degli antibiotici.

Il medico di MG è coinvolto in prima persona in quanto nelle infiammazioni delle vie aeree (riniti, faringiti, laringotracheti e bronchiti) è difficile distinguere le forme batteriche da quelle virali e quindi prescrivere correttamente l'antibiotico. In altri tipi di infezioni invece, come quelle delle vie urinarie o intestinali, è possibili l'identificazione corretta dell'agente infettivo causale e quindi la scleta della terapia appropriata.

L’impostazione di una terapia razionale deve fare quindi i conti, specie sul territorio e per le infezioni delle vie respiratorie, con un deficit di strumenti conoscitivi che consentano di identificare la tipologia dell'infezione e stabilire, di conseguenze, qual'è l'antibiotico più efficace. In mancanza di queste informazioni essenziali non resta che la strada di un approccio terapeutico empirico, che induce il medico, nell'incertezza sull'eziologia, ad optare per un cura "alla cieca", anche per evitare di trascurare una forma batterica.

Il MMG è nell'impossibilità pratica di dirimere il dilemma terapeutico che più spesso affligge la pratica ambulatoriale, vale a dire la distinzione tra causa virale e batterica, specie in caso di febbre, rafreddore, mal di gola e tosse. Questo è il problema di fondo del MG di fronte ad assistiti che reclamano una terapia antibiotica per i propri disturbi "influenzali": se si potesse disporre di un test rapido ed affidabile per differenziare l’eziologia virale da quella batterica, verrebbero usati con maggiore appropriatezza gli antibiotici. Invece il medico pratico resta spesso nel dubbio e nell’incertezza sulla causa dei disturbi e non può far altro, in molti casi, che prescrivere l’antibiotico per “prudenza”.

Anche gli assistiti dovrebbero però sforzarsi di mettersi nei panni del medico curante, collaborare e magari condividere con il proprio medico un po’ dell’incertezza insita nell’attività pratica. E’ indubbio che l'informazione ai pazienti è fondamentale anche in questo settore, ma non quella a pioggia o generica, ad esempio con articoli sui media, perché di scarsa efficacia se non nel pieno dell'epidemia influenzale. Serve un'informazione e un intervento educativo mirato e selettivo, rivolto cioè a chi sta vivendo il problema, ovvero le persone con infezione delle vie aeree in atto, possibilmente concordato con gli altri attori del sistema (farmacisti, medici di CA e del PS). Insomma bisognerebbe condividere e tollerare le due facce dell'incertezza, quella cognitiva e quella pratica, obiettivo difficile per motivi culturali e sociali.

sabato 21 maggio 2016

L'irresistibile differenziazione normativa ed organizzativa del SSN (II° parte)

Vediamo schematicamente le tappe del processo di differenziazione normativa ed organizzativa del sistema sanitario, che parte dal varo della riforma sanitaria, riguarda dapprima i soli farmaci per poi investire la specialistica ambulatoriale, fino al recente Decreto Lorenzin dei giorni nostri, nell'ambito di quella che il sociologo sanitario Ivan Cavicchi ha definito “medicina amministrata”, standardizzata e burocratizzata. Va da se che il nodo dell'equilibrio finanziario e della sostenibilità economica del sistema fa da motivazione implicita e da spinta all'evoluzione normativa delineata, in cui la struttura finanziaria prevale sulla sovrastruttura medico-professionale (ancora Cavicchi).

1-Il periodo che va dall'avvio della Riforma Sanitaria, la 833 della fine del 1978, fino ai primi ani novanta può essere definito l'età dell'oro della sanità italiana, caratterizzata dalla sostanziale sovrapposizione tra mercato e SSN, in continuità con la precedente era mutualistica: il prontuario terapeutico comprendeva praticamente tutti i prodotti immessi in commercio, senza distinzioni tra molecole “rimborsabili” e non, senza classi terapeutiche, Note limitative, Piani Terapeutici specialistici e così via. Era l'epoca d'oro per le più varie categorie di farmaci “mutabili” - dagli epatoprotettori ai polivitamici, dai mucolotici ai neurotrofici fino a celebri ricostituenti - e per molecole di grande successo commerciale, ma dubbia efficacia, come gangliosidi, carnitina, coenzima Q10, calcitonine spary etc.. Anche a livello ospedaliero mancavano particolari limitazioni ai ricoveri, economicamente convenienti ed incentivati dal pagamento a giornate di degenza. Spesso il medico ospedaliero a tempo parziale era anche convenzionato con il SSN, con massimale limitato a 500 scelte, a dimostrazione dell'intercambiabilità dei ruoli. Insomma esisteva una sostanziale sovrapposizione tra SSN e mercato sanitario puro, senza discrasie tra ospedale e territorio, e senza particolari vincoli normativi alle prescrizioni diagnostiche e terapeutiche.

2-A partire dai primi anni novanta il panorama cambia radicalmente grazie a due “rivoluzioni” che danno il via alla separazione tra libero mercato e area del SSN: il varo del primo prontuario terapeutico nazionale (PTN) da parte della neonata Commissione Unica del Farmaco (CUF) e, in misura minore, l'introduzione con la seconda riforma sanitaria del sistema di pagamento della degenza ospedaliera a DRG. A partire dal primo gennaio del 1994 decine di molecole vendono “espulse” dal PTN e abbandonate al loro destino nel libero mercato, per molte equivalente ad un irreversibile declino commerciale. Nel corso degli anni successivi si si rafforza la tendenza verso una stratificazione gerarchica sia dei criteri di concedibilità dei farmaci (Note CUF, registri ASL) sia della titolarità della prescrizione (Piani terapeutici specialistici, File F, fornitura diretta). In questa fase la valutazione di efficacia e la diversificazione dei criteri di prescrivibilità, sempre più articolati e puntigliosi, riguarda i farmaci via via immessi in commercio e dimostra indirettamente quanto i decisori pubblici si siano ispirati, forse in modo inconsapevole, alla legge di Ashby per la regolazione del mercato farmaceutico “interno” al SSN.

Le discrasie conseguenti alla ristrutturazione del PTN non tardano ad emergere e riguardano in particolare la difformità di applicazione delle Note CUF tra ospedale e territorio, come primo segno di una differenziazione sistemica “patologica”, perché priva del contrappeso dell'integrazione. Medici ospedalieri e specialisti ambulatoriali prescrivono alla dimissione o al termine della consulenza farmaci senza tenere conto le Note limitative della CUF, con inevitabili incomprensioni e ripercussioni sulla relazione tra assistito, ignaro dei vincoli prescrittivi, e MMG, tenuto invece all'osservanza delle Note CUF, pena il rischio di subire sanzioni amministrative o procedimenti per danno erariale.

3-La riforma sanitaria ter del 1999 inaugura la terza fase della differenziazione normativa e regolatoria, in nome dell'appropriatezza, che avrà un'accelerazione nella seconda decade del nuovo millennio. La riforma “Bindi”, dall'allora ministro della sanità, al fine di ricomporre le contraddizioni tra prescrizioni specialistiche e del MMG, introduce il cosiddetto obbligo di appropriatezza, in base al quale i mediciquando prescrivono o consigliano medicinali o accertamenti diagnostici a pazienti all'atto della dimissione o in occasione di visite ambulatoriali, sono tenuti a specificare i farmaci e le prestazioni erogabili con onere a carico del Servizio sanitario nazionale. Il predetto obbligo si estende anche ai medici specialisti che abbiano comunque titolo per prescrivere medicinali e accertamenti diagnostici a carico del Servizio sanitario nazionale”. Si tratta di un tardivo tentativo di integrazione normativa tra i due comparti, che non modifica abitudini prescrittive scorrette ormai consolidate e di difficile revisione.

Nonostante i propositi programmatici, più volte espressi da documenti ministeriali, la regolazione delle prestazioni diagnostiche, sul modello delle Note CUF/AIFA, rimane per quasi un decennio sulla carta, ad eccezione di alcune iniziative regionali, come quelle relative ai LEA per la densitometria ossea. Sarà a partire dalla seconda decade degli anni 2000 che prende avvio anche la revisione normativa delle prescrizioni diagnostiche ambulatoriali, che culminerà all'inizio del 2016 con la pubblicazione del cosiddetto Decreto Lorenzin sull'appropriatezza prescrittiva. Sul fronte diagnostico si muovono dapprima le regioni in ordine sparso, con iniziative tutto sommato “neutre” a monte della prescrizione ad personam del MMG, attinenti alle procedure analitiche di laboratorio per l'effettuazione sequenziale di alcuni test in modalità “reflex” (TSH, PSA, Bilirubina, Autoanticorpi etc..) o subordinati a specifiche condizioni cliniche (markers tumorali).

In una seconda fase si aggiungono norme più stringenti, ma non ancora vincolanti, riguardo ad accertamenti per immagine o endoscopici, come quelle introdotte tra il 2004 e il 2006 dalla regione Lombardia, riguardanti TAC e RMN dell'apparato locomotore, ECODOPPLER venosi e arteriosi, esami endoscopici etc.. Infine all'inizio del 2016 dopo lunga gestazione è calata la “mannaia” del Decreto Lorenzin, che ha sollevato generali reazioni critiche da parte delle varie categorie interessate, fino alla parziale retromarcia della circolare esplicativa del mese scorso e alla promessa di una revisione complessiva della normativa da poco introdotta. Il decreto appropriatezza applica la logica lineare e deterministica della scelta terapeutica (se il paziente è portatore della condizione X allora può essere prescritto il farmaco Y) ad un ambito, come quello diagnostico, in cui allignano incertezza, variabilità, complessità e unicità clinica, per loro natura non riducibili a procedure standardizzate e burocratiche.

Il processo delineato segnala la sovrapposizione di normative e vincoli che condizionano le prescrizioni ed inceppano la fluidità e la finalità integrativa dei percorsi diagnostico-terapeutici: nel passaggio dall'ospedale al territorio emergono una serie ormai consistente di inciampi, discrasie e veri e propri incidenti critici per la difformità dei comportamenti dei diversi attori, in quelli che appaiono ormai come tre compartimenti stagni (ospedale, territorio e libero mercato) tra di loro scarsamente comunicanti e “dis-integrati” (vedasi il PS). A poco valgono le norme nazionali e le reiterate delibere regionali che, per migliorare l'integrazione sistemica, impongono a tutti gli specialisti operanti nell'ambito del SSN l'utilizzo del ricettario unico nazionale per la prescrizione di ulteriori accertamenti in risposta al questo diagnostico del MMG.

Così farmaci ed accertamenti prescritti regolarmente e senza alcuna limitazione all'interno del nosocomio o ai suoi confini, come nel PS, diventano nel passaggio al territorio, per una sorta di maleficio, oggetto di vincoli e criteri prescrittivi di presunta appropriatezza, rigidi ed astratti dalle condizioni della loro applicabilità pratica, come quelli introdotti dal decreto Lorenzin. Alla discrasia normativa e regolatoria che affligge i medici del territorio, rispetto agli specialisti ospedalieri, si aggiunge il gap ancor più profondo che separa il territorio dalla libera-professionale, svincolata da ogni norma limitativa delle prescrizioni. Ne fanno le spese prima di tutto gli assisti, costretti ad esercitare in prima persona quella funzione di integrazione e mediazione, che manca ad un sistema ormai avviato verso quella stabile tripartizione descritta all'inizio.

P.S. Ecco il cahier de doleances della (mancata) integrazione ospedale-territorio.
  • Rilascio degli attestati per esenzioni e certificati INPS di malattia alla dimissione
  • Procedure per le dimissioni protette e attivazione ADI
  • Utilizzo del ricettario per esami di approfondimento diagnostico
  • Rispetto delle Note e dei piani terapeutici AIFA
  • Regole per la prescrizione dei farmaci off-label
  • Applicazione del PTN e del prontuario delle dimissioni, dove presente
  • Fornitura diretta dei farmaci alla dimissione previsti dalle convenzioni locali
  • Utilizzo delle esenzioni per patologia, status, reddito, età etc..
  • Rispetto dei LEA regionali (densitometria ossea, Eco TSA, TAC/RMN osteoarticolare, endoscopie etc...)
  • Osservanza del decreto appropriatezza Lorenzin

L'irresistibile differenziazione normativa ed organizzativa del SSN (I° parte)

Tutti i sistemi devono fare i conti con il proprio ambiente, che pone loro richieste, sfide, domande, bisogni, aspetttive ed esigenze da soddisfare o concreti problemi da risolvere, che non di rado comportano tensioni e squilibri di varia entità per il sistema stesso, specie se organizzativo. Per far fronte a tali “perturbazioni” il sistema ricorre ad una sorta di legge ferrea, enunciata dal neurologo e cibernetico inglese Ron Ashby negli anni Cinquanta: la legge della varietà necessaria o richiesta. Essa afferma che i meccanismi regolatori interni di un sistema devono essere tanto variegati quanto lo è l’ambiente a cui si rivolgono. Infatti, soltanto sviluppando la varietà dei propri sistemi di controllo, un'organizzazione è in grado di gestire con successo la varietà e le sfide che provengono dall'ambiente.

Afferma testualmente Ashby: “Solo la molteplicità può distruggere la molteplicità”, mentre un altro cibernetico (Stafford Beer) così sintetizza il problema pratico: “Spesso un ottimista ci chiede: datemi un sistema di regolazione semplice, un sistema che non possa sbagliare. Il guaio, con queste regolazioni semplici, è che esse hanno una varietà insufficiente per far fronte alla varietà dell’ambiente. Così, ben lungi dal non sbagliare, non possono andar bene. Solo una grande varietà del meccanismo di regolazione può affrontare con successo la grande varietà che si trova nel sistema regolato”.

Un esempio tipico di regolazione dei rapporti con l'ambiente, in ambito sanitario, è quello codici cromatici di accesso/filtro al P.S., che seleziona e regola il contatto con l'offerta di prestazioni in base ad una preliminare valutazione di potenziale gravità delle condizioni cliniche del soggetto, il cosiddetto triage infermieristico. In MG la legge di Ashby si manifesta con la diversificazione organizzativa dei contatti: ambulatorio ad accesso libero, su appuntamento, ambulatori per problemi, assistenza domiciliare programmata e ADI, contatti tra assistiti e personale di segretaria, infermieristico etc..

La legge della varietà necessaria riguarda non solo singoli servizi, ospedalieri o territoriali, ma anche il sistema sanitario nel complesso e in particolare il SSN nelle sue varie articolazioni organizzative e soprattutto normativo/regolatorie. Il sistema sanitario fronteggia le sfide ambientali ricorrendo a due processi: una progressiva differenziazione funzionale al suo interno, per una sempre maggiore specificità della risposta alle richieste poste dall'ambiente. La vicenda storica della medicina interna testimonia l'irreversibile tendenza alla differenziazione: dal tronco comune internistico si sono via via separati all'inizio del novecento i diversi rami specialistici, dalla gastroenterologia alla pneumologia, dalla nefrologia all'ematologia etc.., a loro volta investiti da tendenze alla sub-specializzazione parcellare. Tuttavia per un buon equilibrio organizzativo i processi di differenziazione, per certi versi spontanei e autonomi, devono essere accompagnati da complementari interventi di integrazione e coordinamento dei diversi sotto-sistemi, a cura dei vertici aziendali.

Oltre alla differenziazione specialistica classica, di stampo ospedaliero ed organico, il sistema sanitario è andato incontro ad un'ulteriore processo di differenziazione complessiva, in cui prevalgono le componenti organizzative e normativo-regolatorie. Mi riferisco alla suddivisione, da un lato, tra medicina specialistico/ospedaliera e cure primarie/MG e, dall'altro, alla distinzione tra SSN e libero mercato sanitario. La progressiva separazione tra le tre sfere (libero mercato, ospedale e territorio) è iniziata nei primi anni novanta del secolo scorso, a partire dalla farmaceutica, per poi investire la specialistica ambulatoriale, in un lento processo di sovrapposizione di norme regolatorie, in certa misura inintenzionale ma dagli esiti spesso contraddittori o disfunzionali, fino al rischio di “dis-integrazione” del sistema (I continua nel prossimo post).

domenica 24 aprile 2016

Anche in MG un part-time agevolato per il ricambio generazionale?

Nei prossimi 5 anni la medicina del territorio sarà teatro di un massiccio ricambio generazionale, senza precedenti nella storia del SSN, destinato a porre non pochi problemi con prevedibili rischi di carenze d'organico e discontinuità nell'assistenza. Per rendere meno disagevole il passaggio di consegne tra la generazione dei medici del baby-boom e i generalisti formati nei corsi di formazione specifica dell'ultima decade l'ENPAM ha avanzato l'idea di un part time a fine carriera: la proposta prevede il dimezzamento del massimale abbinato ad anticipo della pensione per coprire i mancati compensi, che andrebbero ad un giovane medico da affiancare al pensionando. La proposta può forse funzionare sul piano tecnico-economico, ma ha destato alcune perplessità su quello deontologico e della responsabilità professionale (http://www.fimmgroma.org/news/news/italia/9315-enpam-part-time-a-fine-carriera,-ecco-come-sar%C3%A0).

Come gestirà il pensionando i 1500 assistiti che lo hanno scelto dopo averne "subappaltato" la metà al giovane collega? A chi spetterà la responsabilità professionale della salute dell'intera popolazione che rimane formalmente in carico al titolare? Con quali criteri verrà scelto il giovane medico da associare al collega anziano e la popolazione di assistiti a lui affidata? Come si concilia la “cessione” di 750 assistiti con il rapporto fiduciario tra curante e assistiti e con il principio della libera scelta del cittadino? Con il part-time di fine carriera si rischia di creare un rapporto poco trasparente tra medico pensionando e giovane collega, a rischio di nepotismo o peggio ancora di clientelismo.

Un'ipotetica alternativa alla proposta avanzata dall'ENPAM è quella introdotta dal recente decreto ministeriale sul part-time agevolato, rivolto ai dipendenti a fine carriera: essa prevede una riduzione al 60% dell'orario di lavoro a fronte della garanzia del versamento completo delle ritenute previdenziali negli ultimi 2-3 anni prima dell'età pensionabile ( http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2016-04-13/pensioni-firmato-decreto-via-part-time-uscita-104040.shtml?uuid=ACWMog6C ).

Quella del part-time agevolato è un'interessante formula per favorire il ricambio generazione, l'ingresso nel mondo del lavoro dei giovani riducendo la piaga sociale della disoccupazione. Anche l'ENPAM potrebbe adottare una soluzione analoga per i massimalisti in procinto di pensionamento, stanchi ma ancora lontani dai 65 o 68 anni, adottando questa sorta di part-time delle scelte in carico, senza l'ambiguità del “subappalto” della proposta ENPAM. Ad esempio il pensionando potrebbero rinunciare a 500 assistiti negli ultimi 2-3 anni di lavoro, che favorirebbero l'inserimento graduale di giovani colleghi a pieno titolo, in cambio della garanzia di un versamento completo dei contributi ENPAM sulla base del numero di assisti in carico ricusati rispetto alla quota di 1000 al momento dell'accettazione (ad esempio se un medico ha in carico 1300 assistiti riceve un bonus di 300 quote di versamento ENPAM, per gli anni che lo separano dalla pensione, mentre e se ne ha 1500 ne riceverà 500).

Non saprei se questa soluzione sia tecnicamente fattibile, ma non credo che le casse dell'ENPAM ne soffrirebbero sul piano finanziario; in compenso i giovani colleghi avrebbero l'opportunità di accedere anticipatamente alla convenzione, magari affiancati dal medico anziano come tutor, che potrebbe affrontare serenamente gli ultimi anni di lavoro, con un'uscita graduale e meno drastica dalla professione e una riduzione del proprio reddito, a favore dei giovani, in cambio di una garanzia sulla futura pensione.

mercoledì 20 aprile 2016

La Cassazione dice la parola fine all'IRAP per i generalisti associati o con collaboratori

Il rapporto tra cittadino contribuente e Agenzia delle entrate, si sa, non è proprio idilliaco. Ma quello tra medici di MG 
e fisco è ancor più contorto, fino al paradosso, specie per quanto riguarda l'IRAP, complice la posizione fiscale un po' 
ambigia del medico del territorio, a metà strada tra il rapporto di subordinazione del dipendente pubblico e la libera 
professione in senso stretto. Fin dal 2002 i ricorsi contro l'IRAP dei MMG “single”, non associati e senza personale 
dipendente, hanno avuto buon esito sia in sede di commissioni provinciali che regionali. In una fase successiva il 
contenzioso tra agenzia delle entrate e medici di MG ha riguardato invece la partecipazione alla medicina di gruppo 
e soprattutto la presenza di personale di segreteria e/o infermieristico che, secondo l'Agenzia fiscale, dimostrerebbe
il carattere organizzato dell'attività convenzionata e quindi l'assoggettamento all'Imposta regionale sulle attività produttive.

La contraddizione tra l'interpretazione giuridica libero-professionale dell'Agenzia delle Entrate e la natura 
para-subordinata del rapporto di lavoro autonomo coordinato e continuativo tra MMG e SSN è paradossale 
ed emblematica della scarsa conoscenza istituzionale del contesto professionale della MG.
In buona sostanza, dal lato amministrativo e normativo l'amministrazione pubblica incentiva economicamente 
le forme associative e i collaboratori di studio, al fine di migliorare qualità e quantità delle prestazioni, mentre contemporaneamente sul versante fiscale penalizza con l'IRAP proprio coloro che accettano la sfida di una 
diversificazione dell'offerta, in forma associata o assumendo, anche da single, collaboratori per poche ore settimanali 
(da 5 a 10) grazie a specifici incentivi economici dell'ACN e degli AIR (vedi P.S.).

Se per il libero professionista l'esercizio in forma associata e/o con l’ausilio di personale dipendente si traduce in un 
aumento di efficienza nella gestione dello studio e quindi dei compensi economici, lo stesso principio non vale per il 
medico convenzionato con il SSN; ciò per motivi inerenti alla tipologia della sua retribuzione a quota capitaria individuale, predeterminata dalle convenzioni nazionali e regionali e quindi non soggetta a variazioni in base al gioco della domanda e dell’offerta come in regime libero-professionale. Il medico Convenzionato inoltre non può incrementare il numero di “clienti” oltre il massimale previsto dalla Convenzione e quindi la presenza del dipendente non si traduce in surplus di prestazioni erogate e di introiti economici.

La Corte di Cassazione a sezioni civili riunite ha finalmente fatto chiarezza in materia, anche a seguiti di precedenti 
pronunciamenti difformi delle sue sezioni. Con la sentenza N. 7291/16 del 13 aprile 2016 ha infatti rigettato il ricorso
dell'agenzia delle entrate contro un medico di MG che in primo e secondo grado aveva ottenuto il rimborso dell'IRAP
ingiustamente versata ( http://www.tcnotiziario.it/Articolo/Index?idArticolo=337850&tipo=&cat=ULTLAV&fonte=Teleconsul.it%20-%20Ultimissime%20Lavoro&data=2016-04-14 ) . I giudici dell'alta corte hanno stabilito in modo chiaro che la partecipazione di un medico alla Medicina di Gruppo, secondo gli ACN vigenti, e l'eventuale presenza di personale dipendente, segretariale e infermieristico,  non configura una stabile organizzazione dell’attività professionale, tale da favorire un incremento dei compensi economici e quindi l'obbligo di sottostare all'IRAP.

Le motivazioni addotte dalle sezioni unite civili della Cassazione mettono finalmente un punto fermo dopo una sorta di 
guerriglia giudiziaria durata oltre un decennio, a base di innumerevoli ricorsi, controricorsi, sentenze di I e II° grado delle commissioni tributarie fino alla cassazione; il contenzioso è lievitato negli anni facendo sprecare tempo e denaro ai giudici delle commissioni, ai medici e ai giudici supremi, ed impegnando nelle aule della giustizia tributaria schiere di professionisti da un parte e dall'altra. La questione dell'IRAP dei medici convenzionati poteva essere risolta molto 
tempo prima con un po' di buon senso, se solo il legislatore si fosse interessato all'argomento invece che delegare la 
questione all'Agenzia, dimostratasi incapace di valutare la differenza tra un'organizzazione produttiva o 
libero-professionale e l'esercizio della medicina generale convenzionata con il SSN in forma coordinata e continuativa.

Ad una sorta di chiarimento si è giunti solo alla fine del 2015, ma solo per quanto riguarda la libera-professionale del
dipendente. Infatti la finanziaria 2016 ha stabilito che il medico con attività libero-professionale non è soggetto ad IRAP se i compensi “privati” non superano il 25% del reddito complessivo. Peraltro sempre durante la discussione della legge di stabilità 2016 era stato approvato un ordine del giorno, in Commissione Bilancio al Senato, che caldeggiava un
intervento normativo chiarificatore. Ora finalmente con la sentenza delle sezioni unite civili della Cassazione si è 
arrivati ad un pronunciamento univoco, che potrebbe rappresentare una vera svolta nella giurisprudenza civile 
sull'argomento mettendo la parola fine ad un inutile contenzioso decennale.

P.S. In merito al ruolo svolto dal dipendente nell’organizzazione ambulatoriale valgono le seguenti considerazioni:
-La presenza di personale dipendente dello studio di MMG, sia segretariale che infermieristico, non solo non si traduce in un aumento degli introiti economici, in virtù di una più efficiente organizzazione del lavoro ambulatoriale, come erroneamente ipotizzato dall’Agenzia delle Entrate, ma comporta al contrario per il Medico convenzionato non specialista, che quindi svolge tale attività in modo esclusivo, un surplus di costi economici correlati al rapportodi dipendenza del personale assunto secondo il contratto nazionale dei dipendenti degli studi professionali;-I suddetti oneri infatti sono solo parzialmente coperti dalle indennità previste dall’ACN per l’assistenza primaria, in essere da una ventina di anni, e che sono peraltro commisurati al numero di assistiti in carico, e non all’orario di lavoro del dipendente, fino al massimale di scelta di 1500 e per un orario minimo settimanale stabilito dalla convenzione nazionale (da 4 a 8 ore settimanali);
-tali incentivi sono previsti dall’ACN ed erogati dalla Regione con l’intento di migliorare la qualità assistenziale l’efficienza dell’organizzazione ambulatoriale, di cui beneficiano glia assistiti del SSN ed indirettamente il MMG, ma senza alcun vantaggio economico per il medico che assume un collaboratore di studio o un infermiere;
-Il personale segretariale, ad esempio, consente di razionalizzare il lavoro delegando al dipendente mansioni prettamente burocratiche e ripetitive per lasciare al medico più tempo da dedicare all’attività squisitamente clinica ed assistenziale, spesso su appuntamento. Analogamente il personale infermieristico può svolgere le proprie mansioni in affiancamento al medico, ampliando e completando l’offerta di prestazioni ambulatoriali, per un miglioramento della qualità dell’assistenza e con maggiore soddisfazione degli assistiti;
-proprio la Regione Lombardia, constatata l’esiguità dell’indennità prevista dall’ACN per il personale distudio, ha sottoscritto da una decina di anni a questa parte AIR che aumentano gli importi delle indennità nazionali in modo da favorire un incremento minimo pre-definito dell’orario di lavoro del personale dipendente, visti anche gli aumenti dei carichi di lavoro dovuti alle patologie croniche, sempre più diffuse e prevalenti rispetto alle condizioni acute.

domenica 17 aprile 2016

Lo strano caso dell'atto di indirizzo

La pubblicazione dell'Atto di indirizzo per il rinnovo degli ACN della medicina convenzionata, da parte del Comitato di Settore regioni-sanità, ha tenuto banco per alcuni giorni sui media nazionali e soprattutto nel dibattito in rete, con le prevedibili reazioni di opposto tenore.
Ecco ad esempio le prime dichiarazioni favorevoli del segretario FIMMG Giacomo Milillo, ampiamente rilanciate dalla stampa dopo la diffusione del documento, a commento della copertura l'H16 e dei compiti delle future AFT: «Una staffetta che consente di avere più medici disponibili nell'arco della giornata, andando a coprire anche fasce orarie come quelle delle 8 alle 10 del mattino o del primo pomeriggio, dalle 14 alle 16, oggi meno coperte. E che generano così intasamenti nei pronto soccorsi a discapito di chi ha una vera emergenza». Inoltre, spiega il segretario Fimmg, terminato il turno del proprio medico di fiducia “nelle grandi città – spiega Milillo - basterà rivolgersi allo stesso studio al quale si è abituati ad andare in visita, nei piccoli centri più probabilmente, finito il turno del medico di propria scelta ci si dovrà spostare nel vicino studio del medico che gli subentra» (https://www.forexinfo.it/Medico-di-famiglia-novita).
L'interpretazione pratica del segretario FIMMG non trova tuttavia riscontri nel testo. Resta imprecisata la fonte che ha ispirato la convinzione di Milillo che le AFT si debbano far carico
1-
del sovraffollamento del PS, dovuto alla scarsa copertura delle fasce orarie 8-10 e 14-16 e, soprattutto, che
2-si possa risolvere tale problema con il semplice coordinamento degli orari di studio dei medici-staffetta sparsi nel raggio di qualche km.
Anche perchè rileggendo con attenzione l'atto di indirizzo, non si trova traccia di questa specifica problematica (le fasce orarie "scoperte") e neppure del conseguente “intasamento” del PS che, grazie alla staffetta tra medici, verrebbe risolto dalle AFT. Nel documento del Comitato di Settore è presente solo un accenno al problema del sovraffollamento del PS, ma solo nel paragrafo sui compiti delle UCCP: “assicurare l’accesso degli assistiti ai servizi della UCCP in integrazione con il team multi-professionale, anche al fine di ridurre l’uso improprio del Pronto Soccorso”.
Per di più il segretario FIMMG non accenna ai compiti, qualificanti ed elettivi, delle AFT nella gestione delle patologie croniche (governo clinico) previsti dalla Balduzzi e ribaditi dall'atto di indirizzo, secondo il quale proprio nelle AFT si dovrà realizzare il raccordo dei MMG per garantire “specifici percorsi per pazienti con patologia cronica o inseriti in programmi di assistenza domiciliare, nonché per promuovere e sviluppare la medicina d'iniziativa”.
Tali compiti hanno poco a che fare con l'H16 e le pseudo-urgenze dei codici bianco/verdi, essendo rivolti alla presa in carico, monitoraggio e rendicontazione della cura delle patologie croniche e, come recita l'atto di indirizzo, alla "promozione e diffusione dell’appropriatezza clinica ed organizzativa nonché al corretto uso dei servizi sanitari, anche attraverso procedure sistematiche ed autogestite di audit e di peer review. Adottano (le AFT) modelli di comportamento coerenti con gli indirizzi definiti a livello regionale con l’obiettivo di migliorare e sviluppare programmi di prevenzione, diagnosi, cura, riabilitazione ed assistenza orientati a valorizzare la qualità degli interventi".
Insomma la vera missione/vocazione culturale ed assistenziale della MG e delle AFT (gestione coordinata e rendicontata della cronicità sul territorio) non viene citata dal segretario FIMMG, all'opposto dal rilievo che le attribuisce l'atto di indirizzo.
Ma c'è di più. Altri due temi oltre all'H16 hanno monopolizzato l'attenzione dei media, generalisti e di categoria, nonché i titoli giornalistici: gli assistiti potranno pagare ticket o richiedere un accertamento direttamente dallo studio del proprio medico di fiducia (http://www.sanita24.ilsole24ore.com/art/dal-governo/2016-04-13/cure-territorio-rivoluzione-licenziato-l-atto-d-indirizzo-la-medicina-generale-danze-aperte-la-convenzione-141532.php?uuid=ACsPcs6C). In realtà nell'atto di indirizzo non c'è traccia, tra i compiti delle AFT o delle UCCP, ne' della prenotazione on-line in studio delle prestazioni, ne' del pagamento, sempre presso il MMG, dei tickett sanitari

giovedì 7 aprile 2016

Crisi del PS, complessità sistemica e luoghi comuni

Di fronte a problemi annosi, complessi e maledettamente intricati, come sono quelli sociali ed organizzativi, forte è la tentazione di proporre soluzioni semplici e lineari e di indicare preliminare in un “colpevole” la causa prima della disfunzione e del malcontento. Questa sorta di riflesso condizionato scatta di fronte ad uno dei nodi più problematici dell'organizzazione sanitaria, vale a dire la crisi del Pronto Soccorso ospedaliero, dovuta un eccesso di codici bianco/verdi, specie per l'impatto dell'epidemia influenzale che mette a dura prova tutto il SSN. Inutile aggiungere che per qualcuno l'imputato principale del cronico sovraffollamento del PS è il medico del territorio che, non facendo da filtro alla domanda di alcuni assistiti, ne favorirebbe l'afflusso inappropriato alle strutture di emergenza/urgenza in modo, generando il surplus di codici bianco/verdi (http://www.lastampa.it/2015/01/15/cronaca/la-rivolta-dei-pronto-soccorso-se-siamo-intasati-colpa-dei-medici-di-base-cjnLWxeC2hvhNbDMD2cbLM/pagina.html).

Di tutt'altro avviso è la principale società scientifica del settore (SIMEU) che propone un'analisi della crisi pandemica del PS, nel senso che interessa tutti i paesi occidentali: la causa principale del sovraffollamento dei PS è il blocco dell’uscita, cioè l’impossibilità di ricoverare i pazienti nei reparti di degenza per indisponibilità di posti letto, dopo il primo inquadramento diagnostico in PS; si tratta pertanto di un problema sistemico che si manifesta ed emerge in modo eclatante nei dipartimenti di emergenza, ma ha cause e un genesi esterne; anche gli accessi inappropriati contribuiscono all’affollamento dei PS, ma solo in piccola parte (meno del 10%: http://www.simeu.it/blog/?tag=sovraffollamento).

L'analisi del SIMEU è condivisibile ma indica solo una delle concause, un tassello del puzzle, un segmento della catena causale lasciando in ombra le premesse, a monte, e le conseguenze a valle dell'impossibilità di ricorre alla corsia dopo un accesso in PS. La necessità di eseguire in tempo reale esami e visite, che sul territorio richiederebbero giorni se non settimane, per risolvere il problema diagnostico in loco ed evitare il ricovero, attira in PS schiere di assistiti che non sono in condizioni di urgenza o rischio, vale a dire i famosi codici bianco/verdi. Si tratta di un fenomeno descritto dall'economia sanitaria, ovvero dell'offerta che induce la propria domanda in modo autoreferenziale e soprattutto inintenzionale; così il surplus di accessi è l'effetto collaterale/paradossale della ristrutturazione organizzativa dell'ospedale, ovvero il contingentamento o razionamento dei posti letto.
Curiosamente quindi la riduzione di un'offerta (la degenza) espande in modo inversamente proporzionale l'offerta di prestazioni tecno-specialistiche (l'attività del PS) che attrae la domanda di prestazioni tecnologiche inevasa dal territorio in cerca di una risposta quantitativa adeguata, per via delle liste d'attesa, delle incombenze burocratiche, della compartecipazione alla spesa etc.. Un circuito "perverso" che si auto-alimenta e si auto-rinforza, difficile da spezzare o perlomeno contenere, specie se si propone come soluzione un ulteriore potenziamento dei servizi di emergenza stessi, destinato ad aumentare l'offerta di prestazioni e di calamitare quindi altra domanda. In PS si concentrano nel tempo e nello spazio prestazioni tecno-specialistiche che sia in regime di ricovero sia nelle strutture ambulatoriali del territorio sarebbero dilazionate nel tempo. Da questa concentrazione deriva l'attrattività del PS sul territorio. Ma per qualcuno è più semplice e comodo "dare la colpa" la MMG in modo lineare, come se egli potesse prevedere e controllare l'autonoma decisione di alcuni assistiti di recarsi in PS, invece che analizzare le complesse interazioni sistemiche tra domanda e offerta.
Oltre ai processi organizzativi sistemici, bisogna considerare l'influenza della cultura diffusa sulla salute e sulla malattia, che va dalla promozione di sani stili di vita fino all'ossessione salutista/preventiva indotte dai media, dalle campagne informative, dal disease mongering etc.. tanto da configurare una sorta di ipocondria sociale. Il quotidiano martellamento informativo, oltre che ansiogeno per sua natura, ha contribuito ad abbassare la tolleranza per il dolore e per il disagio fisico in generale e il conseguente bisogno sanitario, inducendo ad interpretare sintomi lievi, transitori o stati parafisiologici come segnali di temibili malattie, bisognose di un consulto medico e di approfondimenti clinici immediati.
Si tratta di un cambiamento culturale ed antropologico che si manifesta con un ribaltamento della valutazione soggettiva dei segnali corporei e dei disturbi fisici, descritta dagli storici della medicina: se un tempo si presentavano in studio assistiti con chiari sintomi di una patologia conclamata, oggi invece sono preponderanti i sintomi aspecifici e sfumati che caratterizzano spesso le fasi di esordio di una malattia. Da qui la decisione di alcuni assisti di rivolgersi al PS, saltando la mediazione delle cure primarie, per ottenere subito le prestazioni medico-sanitarie e specialistiche atte a fugare dubbi, incertezze e ansie, e per by-passare nel contempo fastidiose procedure burocratiche ed amministrative, spesso farraginose, complicate e dispendiose in termini economici e di tempo.
Il medico di fronte a tali sintomi sfumati, sovente inconsueti ed enigmatici, non può far altro che ricorrere ad accertamenti diagnostici, se non altro per escludere una condizione patologica sottostante e ridurre l'incertezza diagnostica. Gli assistiti hanno capito che l'incertezza può essere ridotta solo con l'acquisizione di ulteriori informazioni, più precise e dirimenti rispetto alla visita canonica, e quindi per tagliar la testa al toro si rivolgono direttamente al PS dove trovano un'offerta di tecnologia specialistica prontamente disponibile. D'altra parte i medici del PS sono stretti tra l'adesione ai protocolli operativi e la varietà/unicità delle situazioni, che non sempre rientrano nelle routine decisionali e nelle procedure codificate dalle linee guida e, di fronte all'incertezza diagnostica, hanno buon gioco a prescrivere ulteriori accertamenti diagnostici anche perchè sono, per l'appunto, accessibili e prevengono nel contempo il rischio medico-legale. Ecco quindi che il cerchio si chiude con un codice bianco/verde, che suggella l'interazione tra la dimensione cultural-antropologica e quella sistemico-organizzativa.